Impresa familiare: partecipanti, gestione previdenziale e deducibilità compensi
L’impresa familiare viene disciplinata dall’articolo 230-bis del Codice Civile risalente al lontano 1975. La legge offre la possibilità ad un imprenditore attivo in settori quali artigianato, agricoltura e commercio di “sfruttare” l’attività lavorativa del coniuge, oppure di parenti entro il terzo grado o affini entro il secondo grado. Il vantaggio per lavoratore autonomo, o titolare d’impresa, è quello poter sfruttare la collaborazione occasionale gratuita e, di conseguenza, non versare contributi previdenziali. L’imprenditore può anche decidere di instaurare un rapporto di lavoro subordinato col familiare ed elargire una regolare retribuzione, nonché assolvere agli obblighi contributivi.
L’impresa familiare è valida solamente se l’attività economica esercitata non può configurarsi in forme diverse come, ad esempio, società o associazioni. Pertanto si tratta di una formula imprenditoriale da considerare marginale, anche se piuttosto diffusa, nata con l’esigenza di tutelare i membri della famiglia che decidono di prestare la propria opera nell’attività e, al contempo, evitare situazioni di sfruttamento.
in questi paragrafi analizzeremo brevemente come costituire un’impresa familiare, per poi soffermarci sull’inquadramento dei collaboratori, il concetto di attività occasionale e la deducibilità dei compensi erogati ai familiari.
Indice:
- Come costituire un’impresa familiare
- Prestazione occasionale o rapporto di lavoro subordinato del familiare
- Grado di parentela
- Inquadramento del collaboratore familiare e iscrizione IVS
- L’importanza del concetto di occasionalità
- Collaboratori familiari e assicurazione INAIL
- I compensi erogati ai collaboratori familiari sono deducibili?
Come costituire un’impresa familiare
La costituzione di un’impresa familiare è quantomai semplice perché non richiede un numero minimo di partecipanti e nemmeno la redazione di un atto pubblico, o una scrittura privata, da parte del notaio. Tuttavia, non è affatto una cattiva idea rivolgersi ad un professionista per redarre un atto costitutivo, in modo da stabilire nero su bianco le regole principali su cui si basa il rapporto tra titolare e familiare coadiutore (o coadiuvante).
L’imprenditore rimane la figura centrale ed è l’unico con la facoltà di ammettere un suo familiare, anche soggetti minorenni e figli naturali riconosciuti, all’interno dell’impresa. Da sottolineare che la legge non impone ai collaboratori di convivere in un’unica famiglia.
Prestazione occasionale o rapporto di lavoro subordinato del familiare
Di fronte a questa tipologia di impresa, un aspetto di grande rilevanza è il rapporto instaurato tra titolare e collaboratore familiare. In tal senso, il Ministero del Lavoro, in particolare l’autorità ispettiva, ha emanato due circolari (n.10478 del giugno 2013 e n.14184 dell’agosto 2013) con cui fornisce indicazioni agli ispettori in merito al corretto inquadramento dei coadiuvanti familiari.
Anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro è intervenuto al riguardo tramite la nota n.50 del marzo 2018. L’INL ha ribadito come le attività svolte dai familiari all’interno dell’impresa, oppure a favore di un lavoratore autonomo sono, nella maggior parte dei casi, di natura occasionale e a titolo gratuito. Questo perché la partecipazione di un membro della famiglia si basa, generalmente, su presupposti morali e affettivi. In tali situazioni, il titolare dell’impresa non deve adempiere all’obbligo di inquadramento previdenziale.
Come abbiamo già accennato, l’imprenditore è libero di assumere un suo familiare e regolarizzare il rapporto di lavoro subordinato con un contratto e relativa retribuzione. La legittimità di tale formula è stata confermata dalla Suprema Corte attraverso la sentenza n. 4536 del 27 febbraio 2018. Il suddetto provvedimento giurisdizionale ha altresì stabilito una serie di aspetti oggettivi per possono aiutare le autorità di controllo a capire la sussistenza di rapporti di lavoro dissimulati, ovvero al solo scopo di garantire prestazioni pensionistiche. In particolare, la Suprema Corte ha indicato come fattori sospetti:
- la presenza costante sul luogo di lavoro del collaboratore familiare;
- il rispetto di un orario che coincide con quello di inizio attività;
- la programmazione da parte del titolare delle prestazioni offerte dal familiare;
- l’ erogazione di un corrispettivo con scadenza fissa che si configura più come una vera e propria retribuzione, piuttosto che un versamento in denaro atto a soddisfare esigenze primarie di vita del familiare.
Grado di parentela
Siccome nel trattare argomenti riguardanti l’impresa familiare è facile imbattersi nei gradi di parentela, vediamo di inquadrare con la dovuta chiarezza la suddivisione dei parenti. Nello specifico abbiamo:
- parenti di primo grado: genitori e figli;
- parenti di secondo grado: figli dei figli, nonni, fratelli e sorelle;
- parenti di terzo grado: bisnonni, zii, figli di fratelli / sorelle e pronipoti.
Ci sono poi i cosiddetti affini, vale a dire i parenti del coniuge che a loro volta vengono suddivisi in:
– affini di primo grado: suoceri;
– affini di secondo grado: nonni e cognati;
– affini di terzo grado: bisnonni, zii e figli dei cognati.
Inquadramento del collaboratore familiare e iscrizione IVS
In presenza di prestazioni abituali e prevalenti, scatta l’obbligo di iscrizione alla gestione previdenziale IVS per:
- titolare;
- socio della SNC;
- socio accomandatario della SAS;
- socio d’opera della SRL.
Inoltre, è necessario effettuare precise distinzioni a seconda se si tratta di un’attività svolta nel settore dell’artigianato, commercio o agricoltura.
- artigiano: I familiari collaboratori devono iscriversi alla relativa gestione INPS qualora svolgano prestazioni in modo abituale e prevalente nell’impresa artigiana, sempreché non risultino già assoggettati a un obbligo assicurativo (ad esempio sono assunti come lavoratori dipendenti oppure risultano co-titolari di un’impresa artigiana). Ricordiamo che le mansioni svolte dal collaboratore non devono essere necessariamente di natura manuale, ma possono riguardare anche compiti amministrativi o di ufficio. La normativa considera un familiare coadiutore il coniuge, parenti entro il terzo grado, nonché affini entro il secondo grado;
- commerciante: in questo caso l’iscrizione alla gestione INPS scatta nel momento in cui il familiare svolge lavori con carattere di abitualità e prevalenza all’interno del negozio / punto vendita. La normativa considera familiari collaboratori il coniuge, parenti e affini entro il terzo grado;
- coltivatore diretto: l’iscrizione alla relativa gestione speciale INPS è prevista per il coniuge, parenti e affini entro il quarto grado, solo se la forza lavoro messa a disposizione dai componenti del nucleo familiare risulta superiore ad un terzo di quella necessaria per svolgere le abituali attività dell’azienda agricola.
L’importanza del concetto di occasionalità
L’occasionalità delle prestazioni esercitate dal coadiutore familiare ha una grande rilevanza. Come abbiamo già evidenziato, il Ministero del Lavoro ha rimarcato che le opere svolte dai familiari sono generalmente prive dei requisiti di abitualità e prevalenza, ovvero avvengono saltuariamente a titolo gratuito e non comportano l’iscrizione IVS.
Le prestazioni sono sempre considerate di natura occasionale nelle seguenti situazioni:
- il coadiutore è un familiare pensionato (non ha alcuna importanza il tipo di trattamento pensionistico);
- il familiare risulta assunto full time presso un altro datore di lavoro. La normativa tende ad escludere i coadiutori assunti da terzi con contratto di collaborazione oppure di Associazione in partecipazione;
- nell’anno solare vengono svolte prestazioni per un totale di 90 giorni, vale a dire 720 ore. A tal proposito il Ministero del Lavoro ha stabilito che la giornata lavorativa può essere formata anche da più di 8 ore. Ciò significa che, nonostante il rispetto del limite di 90 giorni, sussiste la possibilità che venga infranta la soglia delle 720 ore. In caso di controllo, gli ispettori possono richiedere l’iscrizione alla Gestione INPS del collaboratore familiare se accertato e provano il superamento delle 720 ore annue di lavoro. In tali frangenti la prestazione non è più ritenuta occasionale, bensì convertita in un rapporto di lavoro subordinato, con tutti gli oneri fiscali e previdenziali che ne derivano.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, tramite la nota n.50/2018, ha rivolto l’attenzione anche al settore turistico e in particolare alle attività stagionali. Nello specifico, è stato precisato che, in questi casi, il limite dei 90 giorni dev’essere riproporzionato in base all’effettiva durata della stagione lavorativa. Di conseguenza, supponendo un periodo dell’attività pari a 3 mesi, l’indice quantitativo risulta di 22 giorni (90:365 x 90).
Collaboratori familiari e assicurazione INAIL
La regola generale impone il versamento del premio assicurativo INAIL per la copertura da eventuali infortuni sul lavoro del collaboratore familiare.
Tuttavia, il Ministero del Lavoro ha precisato che non sussiste l’obbligo assicurativo nel caso di prestazioni occasionali. Ciò significa che il soggetto deve svolgere l’opera una o due volte al mese, senza superare nell’arco dell’anno le 10 giornate lavorative.
Ricordiamo che a seguito di un controllo ispettivo per verificare il rispetto delle norme sulla sicurezza e impiego di lavoro in nero, è necessario tenere presente che:
- per il calcolo complessivo del numero di lavoratori sul luogo di lavoro, vengono considerati anche soggetti che svolgono prestazioni occasionali senza pagamento del premio assicurativo INAIL;
- nel computo del 20% del personale sono esclusi i lavoratori senza assicurazione INAIL.
I compensi erogati ai collaboratori familiari sono deducibili?
La norma di base prevede l’indeducibilità dei compensi elargiti a favore dei familiari, sia dal redditto di lavoro autonomo che da quello di impresa.
Per i lavoratori autonomi a sancire tale disposizione è l’articolo 54 del TUIR, il quale stabilisce la non deducibilità dei compensi per i seguenti familiari:
- coniuge, anche nel caso di separazione;
- figli maggiorenni o minorenni inabili a svolgere attività lavorative;
- ascendenti e parenti entro il terzo grado;
- affini entro il secondo grado.
Da sottolineare come per le suddette categorie i compensi risultano però deducili a seguito di prestazioni da lavoro autonomo (ad esempio il coniuge avvocato titolare di partita IVA che fattura una prestazione al marito libero professionista);
La non deducibilità fa riferimento a rapporti da lavoro dipendente, prestazioni occasionali e anche collaborazioni coordinate e continuative. I compensi, in quanto indeducibili dal reddito del soggetto erogante, non contribuiscono alla formazione del reddito imponile del collaboratore familiare, per il quale risultano completamente esentasse.
Sono invece esclusi dal divieto di deducibilità i compensi elargiti a favore di:
- figli maggiorenni siano essi affidati o adottati;
- figli dei figli;
- parenti e affini diversi da quelli indicati dall’articolo 54 del TUIR.
La deducibilità dei compensi erogati da un imprenditore individuale a propri familiari è, invece, disciplinata dall’articolo 60 del TUIR. Tuttavia, non cambia nulla rispetto a quanto visto in precedenza. Infatti, non è ammessa la deduzione dal reddito di impresa per lavori svolti da:
- coniuge;
- figli affidati o affiliati minorenni con perenne inabilità al lavoro;
- ascendenti;
- familiari che partecipano alle attività d’impresa di cui al comma 4 dell’articolo 5.
I compensi versati dal lavoratore autonomo, o dall’imprenditore individuale, devono risultare inerenti l’attività svolta. In caso contrario potrebbero insorgere contestazioni con l’Agenzia delle Entrate.
Per quanto riguarda contributi previdenziali versati all’INPS, IVS o Gestione separata, nonché i premi assicurativi INAIL, è sempre ammessa la deduzione dal reddito.
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