Quali sono e a cosa servono le accise sulla benzina
Basta nominare il termine “accise” che subito viene associato al prezzo esorbitante della benzina rispetto agli altri paesi dell’Eurozona. Infatti, si tratta di un tributo che lo Stato può applicare sulla fabbricazione e vendita di determinati prodotti: i carburanti rappresentano, da sempre, la fonte preferita da cui attingere immediate risorse finanziarie, tuttavia anche l’energia elettrica, il gas metano nonché sigarette e bevande alcoliche sono prese spesso di mira.
L’accisa è, senza ombra dubbio, l’imposta indiretta più odiata dai cittadini i quali la subiscono attraverso l’aumento del prezzo finale di vendita di un bene già soggetto all’IVA al 22%. Oltretutto, sono tributi che colpiscono prodotti di largo consumo che, tranne tabacco e alcolici, ognuno di noi deve necessariamente acquistare e che incidono profondamente sulla spesa annua di ogni famiglia. Ad esempio, il prezzo della benzina, per ben due terzi è costituito dalle accise applicate nel corso degli anni.
Mentre l’imposta sul valore aggiunto è facilmente quantificabile, per le accise il discorso si fa più complicato. È necessario comprendere esattamente cosa sono e il loro funzionamento per rendersi conto di come risultino un mezzo alquanto efficace per riempire le casse dell’Erario e, al contempo, svuotare le tasche dei consumatori.
Innanzitutto, lo scopo dell’accisa è quello di reperire in tempi brevissimi le entrate necessarie per far fronte a specifiche esigenze di bilancio. Un sistema sfruttato la prima volta nel lontano 1935 al fine di sostenere le spese a seguito della guerra d’Etiopia. Successivamente, hanno finanziato situazioni di grave emergenza come la ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963, i terremoti in Belice e Irpinia rispettivamente del 1968 e 1980, l’alluvione in Liguria del 2011 nonché il terremoto in Emilia del 2012. I vari governi hanno impiegato le accise anche per sostenere iniziative quali il Decreto Salva Italia del 2011 e il Decreto Fare Nuova Sabatini del 2014 che rappresenta l’ultima accisa in ordine cronologico.
L’aspetto importante che contraddistingue il meccanismo di questo particolare tributo è che rappresenta la somma di imposte che nel corso del tempo non vengono mai abrogate, nemmeno quando la relativa emergenza non sussiste più. Questo significa che l’accisa di 1,90 lire del 1935 è tutt’ora applicata come del resto le altre. La mossa furba pensata dal Governo Dini nel 1995 è stata quella di eliminare i riferimenti originali e inglobare tutte le accise, fino ad allora vigenti, in un’unica imposta indifferenziata. Per cui, oggi non ha alcun senso parlare di accisa per la crisi di Suez del 1956 o per il terremoto in Friuli del 1976, in quanto le denominazioni sono state abolite sebbene le imposte indirette rimangano applicate sul prezzo finale di vendita dei prodotti colpiti.
Indice:
Cosa sono le accise
Le accise fanno parte delle cosiddette imposte indirette, ovvero quelle applicate sui consumi. Si differenziano dalle imposte dirette che, invece, prendono come riferimento la ricchezza del contribuente vale a dire il reddito generato o il patrimonio.
Quindi, il cittadino si trova stretto tra due morse: da una parte versare tributi in base a ciò che possiede e alla relativa capacità di spesa potenziale, o addirittura astratta, e dall’altra, pagare direttamente i balzelli applicati sul prezzo di vendita di prodotti dei largo consumo attraverso l’IVA e le accise.
Il meccanismo che rende l’accisa uno strumento così efficace per riempire le casse dello Stato è il sistema di fruizione. L’imposta indiretta non viene applicata in modo indiscriminato, bensì prende di mira solo pochi prodotti selezionati, con attenzione, per generare il gettito massimo. Infatti, sono stati scelti unicamente settori quali prodotti petroliferi, energia, tabacchi lavorati e alcolici. Oltre a rappresentare merce consumata in gradi quantità da un alto numero di cittadini, il Fisco ha il diretto controllo dei quantitativi prodotti e importati dall’estero. Di conseguenza, è molto facile applicare le accise e prevedere le entrare, lasciando il compito del calcolo e versamento alle grandi aziende che si occupano della produzione e distribuzione. Una volta che lo Stato ha stabilito un’accisa, l’azienda applica immediatamente l’aumento sul prezzo di vendita scaricando tutto l’importo sulle spalle del consumatore finale.
Considerando che le accise riguardano per la maggior parte carburanti ed energia, ovvero prodotti consumati quotidianamente dai cittadini che non ne possono, praticamente, fare a meno, è facile intuire come lo Stato riesca a raccogliere risorse finanziarie ingenti e, soprattutto, certe.
L’accisa è costituita da un’imposta di fabbricazione che scatta nel momento in cui il prodotto esce dal ciclo produttivo, e un’imposta di consumo che, invece, è applicata quando il bene viene messo in vendita. Comunque, al cliente finale, tale distinzione poco importa e serve solo a livello informativo. Il tributo viene versato dal cittadino quando avviene effettivamente il consumo, trovando già incorporato nel prezzo di vendita la nuova accisa. La conseguenza è quella pagare un litro di benzina, o un metro cubo di gas, molto più del suo effettivo valore e di quanto costi al fabbricante e ai vari intermediari che provvedono alla distribuzione.
Altro aspetto che rende l’accisa un mezzo vincente per lo Stato è la sua semplicità di calcolo e la conseguente facilità di applicazione. Si tratta di un sovrapprezzo che non tiene conto del valore della merce ma solo della quantità venduta. Da qui deriva la disinvoltura con cui i vari governi, nel corso degli anni, hanno sfruttato le accise per fronteggiare qualsiasi tipo di emergenza ed esigenza di bilancio.
Le accise rappresentano un pesante fardello sulle spalle dei consumatori, già pesantemente colpiti da una pressione fiscale tra le più alte d’Europa. Inoltre, è un’imposta indiretta completamente iniqua in quanto non tiene conto né del valore dei beni, né tanto meno del reddito e della capacità contributiva del cittadino, come invece avviene per le altre tasse.
Infine, ricordiamo che le accise non hanno una scadenza temporale, nel senso che una volta applicate perdurano nel tempo diventando parte integrante del prezzo finale di vendita. Pertanto le 19 accise introdotte dai vari governi a partire dal 1935 sono ancora tutte vigenti.
Quali prodotti riguardano?
L’accisa non è una prerogativa dell’Italia visto che moltissimi altri paesi la sfruttano allo stesso modo. La materia viene regolarizzata da una normativa che ha cercato di avvicinare la disciplina nazionale con quella dei membri dell’Unione Europea, così da evitare difformità nella circolazione dei prodotti di uso comune.
La legge ha stabilito che le accise possono essere applicate solo sui seguenti beni:
- oli minerali e loro derivati: rientrano in questa categoria carburanti quali benzina e gasolio ma anche il gas di petrolio liquefatto (gpl);
- oli lubrificanti come, ad esempio, l’olio per motori;
- energia elettrica: l’accisa viene applicata direttamente nella bolletta della luce;
- gas metano: riguarda sia l’utilizzo in ambito industriale per l’autotrazione che uso domestico per alimentare l’impianto di riscaldamento e le utenze in cucina;
- alcool e bevande alcoliche: fanno parte tutte le tipologie di liquori, grappe e brandy. L’accisa è applicata anche sulla birra, mentre viene escluso il vino;
- tabacchi lavorati: tra i principali prodotti ci sono le sigarette;
- fiammiferi: si tratta di un’imposta indiretta solo sulla produzione.
Ciò che accomuna i prodotti testé elencati sono la produzione concentrata in poche aziende e quantitativi stoccati in depositi autorizzati di facile controllo. Il Fisco può monitorare senza grosse difficoltà la fase di produzione e distribuzione, verificando la corretta applicazione dell’accisa. Cosa che, invece, risulta molto meno agevole con l’IVA, essendo un’imposta relativa a un insieme molto numeroso di beni e servizi che presta il fianco a frequenti fenomeni di evasione.
Quanto paghiamo davvero la benzina?
Il bene su cui maggiormente incidono le accise è il carburante, sia esso benzina che gasolio. Calcolatrice alla mano e con un po’ di pazienza, visto l’alto numero di imposte indirette applicate durante gli anni, possiamo affermare che l’incidenza delle accise per ogni litro supera i 60 centesimi. A tutto questo si aggiunge il tributo applicato sulla produzione e, dulcis in fundo, il 22% di imposta sul valore aggiunto.
Il MISE ci ha risparmiato la fatica del calcolo e, dati alla mano, l’accisa sulla benzina è pari a 0,728 centesimi al litro, che si riduce leggermente per il diesel a 0,6117 centesimi al litro. Tuttavia, il prezzo industriale del gasolio è sempre poco più alto rispetto a quello della benzina, pertanto le differenze si appianano quasi completamente.
Come già detto, sul prezzo finale aumentato dalle accise, viene anche applicata l’aliquota del 22% di IVA, giusto per completare l’opera e restituire alla pompa un prezzo che nella classifica dei Paesi CE ci vede quasi sempre primeggiare. Il pieno di benzina costa di più solo in Svezia, Norvegia, Finlandia, Olanda, Grecia e Portogallo.
Il meccanismo particolare delle accise più IVA
L’applicazione dell’IVA sul prezzo di vendita già comprendente le accise è giustificato dal sistema tributario e dalla giurisprudenza grazie ad un semplice ragionamento. In poche parole, tale fenomeno è del tutto lecito in quanto l’accisa viene applicata sulla quantità del prodotto, mentre l’IVA è l’imposta sul valore del bene. Di conseguenza, la base imponibile per il calcolo dei due tributi è differente.
Il sistema non ha valore al contrario, vale a dire che sul prezzo di vendita con già applicata l’IVA l’accisa non è dovuta essendo già calcolata in precedenza. Ciò nonostante è stato necessario l’intervento della Cassazione per stabilire come una tassa non può mai rappresentare il presupposto per applicare un altro tributo.
A seguito di tale sentenza molti contribuenti hanno deciso di chiedere il rimborso dell’IVA sulle bollette di luce e gas. Si tratta di una via difficile da percorrere poiché risulta davvero complicato contestare una bolletta e ottenere ragione dal giudice. Inoltre, non è affatto detto che sia una soluzione economicamente vantaggiosa: a fronte di cifre recuperabili davvero basse, c’è da mettere in conto le spese legali per affrontare un percorso giudiziario lungo e dall’esito alquanto incerto. In questi frangenti l’unica strada percorribile è avviare un’azione collettiva, ovvero una class action composta da numerosi consumatori rappresentati dalle relative associazioni.
La questione delle accise è sempre attuale, nel senso che a livello legislativo sono stati fatti timidi tentativi presentando proposte allo scopo di abolire o almeno ridurre, almeno in parte, questi balzelli. Per ora hanno sempre avuto facilmente la meglio le esigenze di bilancio dello Stato: d’altra parte è piuttosto improbabile che l’Erario rinunci ad un flusso costante e così cospicuo di gettito.
Perché le accise funzionano così bene?
Arrivati a questo punto sono già piuttosto evidenti i motivi che rendono le accise un tributo così efficace con cui lo Stato raccoglie ingenti risorse. Uno strumento decisamente vantaggioso rispetto a imposte quali IRPEF, IRES e IVA nonché a tasse specifiche da versare ai vari enti impositori.
Il primo e più grande beneficio riguarda il flusso costante di gettino che finisce nelle casse dell’Erario. Basti pensare ai milioni di litri di carburante che vengono consumati ogni giorno nel nostro Paese, che portano automaticamente entrate sicure allo Stato. Il contribuente versa il tributo quando paga il pieno di benzina, oppure in un secondo momento rispetto al reale consumo come per le accise applicate nelle bollette di luce e gas. Di conseguenza, vengono eliminati anche tutti i possibili tentativi di frode o evasione fiscale.
Un altro punto di forza delle accise è la facilità con la quale si possono incrementare prezzi alla vendita ritoccando al rialzo le singole imposte. Il Governo, a fronte di una grave emergenza, oppure per esigenze di bilancio, può deliberare l’aumento di un’accisa, oppure crearne una nuova in tempi molto brevi. Ciò comporta che, il più delle volte, i rincari di bollette energetiche e carburanti non sono dovuti a effettivi aumenti dei costi di produzione e distribuzione, bensì all’incremento delle accise. Aggiungiamo che ogni nuovo tributo si va a sommare a tutti i precedenti balzelli, sebbene molte delle emergenze che hanno portato all’applicazione siano finite da ormai decine e decine di anni.
Infine, non bisogna dimenticare che l’IVA viene calcolata sul prezzo aggiornato con l’aumento dovuto all’accisa, per cui subiamo un ulteriore rincaro. Quindi non dobbiamo stupirci se un litro di benzina o gasolio abbia un costo tra i più alti d’Europa, visto che un terzo del prezzo è merito dei numerosi tributi. Quando leggiamo sul cartellone del distributore benzina verde a 1,50 euro al litro, è giusto sapere che, in realtà, dovrebbe costare all’incirca 50 centesimi al netto di tutte le accise e le relative imposizioni.
Perché le accise le pagano solo i consumatori?
Il presupposto che sta alla base dell’accisa è il consumo del prodotto. In realtà, il Fisco chiede di versare l’imposta a produttori, importatori e titolari dei depositi commerciali che tengono a magazzino i prodotti in attesa di essere distribuiti e poi venduti.
Lo Stato autorizza il deposito fiscale della merce, ovvero la possibilità di applicare il cosiddetto regime di sospensione d’imposta. In pratica, il titolare del magazzino può stoccare i prodotti fino al momento della vendita senza dover versare le accise, il tutto sotto il vigile controllo dell’Agenzia delle Dogane, Amministrazione dei Monopoli per i tabacchi, e ufficio tecnico imposte di fabbricazione che verifica i quantitativi. Il pagamento avverrà solo quando la merce sarà effettivamente venduta.
Appare evidente quindi che le accise sono versate allo Stato solo dalle grandi aziende che gestiscono la produzione e la distribuzione dei prodotti, vale a dire i soggetti passivi dell’imposta. Purtroppo però queste grandi aziende, o i distributori finali (benzinai e tabaccai per intenderci) sono solo degli esattori per lo Stato, infatti la tassa viene pagata per intero dal consumatore. La motivazione è che tali società si limitano a includere il tributo nel prezzo finale di vendita, addebitando l’accisa al cliente. Le aziende non fanno altro che versare nelle casse dello Stato i soldi che hanno pagato in più i consumatori al momento dell’acquisto del prodotto.
Riassumendo quanto appena detto, possiamo affermare che:
- il contribuente obbligato per legge al versamento di tale imposta è il produttore, l’importatore o il titolare dei depositi autorizzati;
- il contribuente che paga realmente l’imposta è il solo consumatore finale.
Questo significa che, come accade per l’imposta sul valore aggiunto, tutto ricade unicamente sulle nostre spalle, sia che si tratti del rifornimento di carburante, che della bolletta della luce o dell pacchetto di sigarette acquistato al distributore o dal tabaccaio. Del resto non c’è alcun modo di difendersi dagli aumenti di prezzo imposti dallo Stato, semmai sarebbe soltanto possibile provare a ridurre i consumi. Se tabacchi e alcool sono vizi che sarebbe anche salutare limitare o eliminare, la benzina e l’energia per illuminare e riscaldare la casa, purtroppo, rappresentano beni imprescindibili.
Quali sono le accise sul gasolio
- 0,000981 € per il finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935-1936;
- 0,00723 € per il finanziamento della crisi di Suez del 1956;
- 0,00516 € per la ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963;
- 0,00516 € per la ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze del 1966;
- 0,00516 € per la ricostruzione dopo il terremoto del Belice del 1968;
- 0,0511 € per la ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976;
- 0,0387 € per la ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980;
- 0,114 € per il finanziamento della missione in Bosnia del 1996;
- 0,02 € per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004;
- 0,005 € per l’acquisto di autobus ecologici nel 2005;
- 0,0051 € per far fronte al terremoto dell’Aquila del 2009;
- da 0,0055 a 0,0071 € per il finanziamento alla cultura nel 2011;
- 0,04 € per far fronte all’arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011;
- 0,0089 € per far fronte all’alluvione che ha colpito Liguria e Toscana nel 2011;
- 0,113 € per il decreto “Salva Italia” del 2011.
Quali sono le accise sulla benzina
- 0,000981€ per il finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935-1936;
- 0,00723€ per il finanziamento della crisi di Suez del 1956;
- 0,00516€ per la ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963;
- 0,00516€ per la ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze del 1966;
- 0,00516€ per la ricostruzione dopo il terremoto del Belice del 1968;
- 0,0511€ per la ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976;
- 0,0387€ per la ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980;
- 0,114€ per il finanziamento della missione in Bosnia del 1996;
- 0,02€ per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004;
- 0,005€ per l’acquisto di autobus ecologici nel 2005;
- 0,0051€ per far fronte al terremoto dell’Aquila del 2009;
- 0,0071€ per il finanziamento alla cultura nel 2011;
- 0,04€ per far fronte all’arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011;
- 0,0089€ per far fronte all’alluvione che ha colpito Liguria e Toscana nel 2011;
- 0,082€ per il decreto “Salva Italia” del 2011;
- 0,02€ per la ricostruzione dopo il terremoto in Emilia del 2012.
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