Cedolare secca al 21% o Tassa Airbnb: gestione fiscale degli affitti brevi

Scritto da Omar Cecchelani in Immobili

L’accoglienza turistica si è evoluta nel corso degli ultimi anni sviluppando formule alternative al classico soggiorno alberghiero. Ecco che sono nate e si sono rapidamente diffuse strutture ricettive quali: case vacanze e Bed & Breakfast, senza dimenticare gli affitti del cosiddetto home sharing che sfruttano portali online come la famosa e conosciuta piattaforma Airbnb.

Sono attività che danno la possibilità, ad esempio, a proprietari di seconde case poco sfruttate, di avere una fonte di guadagno supplementare per arrotondare le entrate. In alcuni casi, diventano del tutto simili ad attività imprenditoriali e messe in atto con il solo scopo di guadagnare. Questo nuovo scenario dell’accoglienza turistica ha però creato una serie di situazioni poco chiare dal punto di vista tributario, tanto che il Governo ha deciso di modificare la ritenuta sugli affitti brevi introducendo la cosiddetta tassa Airbnb.

Di seguito andremo ad analizzare i vari aspetti fiscali relativi alle novità introdotte in materia per comprendere, al meglio, come dovrebbe funzionare l’imposta, a chi spetta il pagamento e soprattutto a quanto ammonta. Una serie di informazioni che sono assolutamente da sapere qualora si decida di entrare nel mondo della locazione di appartamenti e case vacanze, sfruttando le opportunità messe a disposizione dagli affitti brevi.

Indice:

 

Differenza tra gestione occasionale o imprenditoriale delle locazioni con affitti brevi

Tassa Airbnb e cedolare secca al 21% sugli affitti breviPrima di affrontare nel dettaglio il discorso sulla tassazione delle locazioni brevi attraverso Airbnb e simili, è bene fare alcune precisazioni in modo da avere le idee chiare sull’argomento.

Innanzitutto è importante sapere che per avviare una qualsiasi attività di ospitalità ricettiva è necessario consultare e fare riferimento a quanto stabilito dal Codice del Turismo. Una serie di normative varate con il decreto legislativo 79/2011, con l’intento di promuovere il mercato turistico e nel contempo tutelare il consumatore.

Gli aspetti di maggior rilevanza riguardano gli affitti brevi e, nello specifico, stabilire quando la gestione debba essere considerata una vera e propria impresa o una semplice attività occasionale e capire se è necessario aprire una partita IVA. A tal proposito, il fattore determinante è decidere se il proprietario dell’immobile risulta un semplice privato cittadino che mette a disposizione la struttura ricettiva per avere una rendita saltuaria oppure è a tutti gli effetti un imprenditore.

Per essere considerato un esercizio di impresa è indispensabile che l’attività venga svolta abitualmente, ossia in modo continuativo e professionale. Quindi deve essere assente il requisito dell’occasionalità anche se si tratta di una seconda attività.

La legge italiana afferma che una locazione turistica, per rientrare in un’attività commerciale, debba rispettare sia il requisito delle continuità durante il suo svolgimento, che l’adozione di un’organizzazione in forma d’impresa. Una volta che si è stabilito con chiarezza che l’attività praticata sia di tipo continuativo e professionale, essa sarà soggetta ad IVA e al conseguente regime impositivo delle imprese.

 

Apertura partita IVA e codice attività per la gestione degli affitti brevi

Decidere se un’attività di locazione a scopo turistico sia occasionale o professionale non è poi così semplice. L’Agenzia delle Entrate ha affermato, in una circolare, come la normativa a livello regionale richieda determinati servizi minimi per aprire una struttura ricettiva a livello imprenditoriale e, inoltre, deve, necessariamente, esistere un’organizzazione di mezzi e persone.

Questi requisiti portano alla nascita di un’attività di tipo commerciale, a cui aggiungere il fatto che venga svolta con periodicità seppur, il più delle volte, solo in determinati periodi dell’anno.

La stessa Agenzia delle Entrate evidenzia un ulteriore concetto che va a contrapporsi con quanto stabilito dalla giurisprudenza europea. In pratica, se un soggetto fornisce, per esempio, il solo alloggio delle camere di sua proprietà, a fronte di un determinato corrispettivo, ma non offre alcun servizio aggiuntivo, l’attività svolta è considerata come occasionale e non imprenditoriale.

In questo modo, secondo i principi generali dell’IVA stabiliti dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, il proprietario non ha obblighi d’imposta ma la sua attività è riconducibile ad un semplice contratto di locazione di immobile.

Le normative regionali, invece, sottolineano in modo esplicito come coloro che desiderano affittare appartamenti o solo camere offrendo anche servizi aggiuntivi agli ospiti, devono essere considerati a tutti gli effetti degli imprenditori professionali.

È bene chiarire che ogni Regione apporta delle modifiche alla normativa come, ad esempio, il limite di appartamenti e camere che si possono affittare. Tuttavia, il tratto comune delle varie discipline è rappresentato dall’obbligo di aprire una partita IVA (entro 30 giorni dall’inizio dell’attività) qualora il soggetto sia ritenuto un imprenditore professionale. Nel contempo è necessario anche effettuare le opportune comunicazioni alla Camera di Commercio e pagare i diritti annuali.

Non bisogna nemmeno dimenticarsi che, normalmente, è richiesta la presentazione della SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) presso lo sportello unico per le attività produttive del Comune di residenza. Questo adempimento è generalmente necessario, sia per affittacamere riconosciuti come soggetti professionali, che case vacanze e Bed & Breakfast.

Il proprietario dell’immobile che intende esercitare l’attività di locazione turistica, deve valutare attentamente la propria situazione. Nel caso venga acclarata la necessità di apertura della partita IVA, sarà necessario effettuare un ulteriore passo: la scelta del codice attività o più comunemente detto codice ATECO (acronimo di ATtività ECOnomiche). Anche per quest’aspetto bisogna diversificare la semplice locazione dalle prestazioni di servizi extra-alberghieri.

Nella prima situazione il codice ATECO è il 68.20.01 e riguarda la locazione immobiliare di beni propri oppure in leasing, mentre nel secondo è 55.20.51 e contraddistingue attività di affittacamere per brevi soggiorni, case vacanze, residence e Bed & Breakfast.

Ricordiamo che per i contratti con una durata inferiore ai 30 giorni la legge non prevede l’obbligo di registrazione, tuttavia, è necessario comunicare i dati delle persone ospitate alle autorità di pubblica sicurezza. Operazione che può essere eseguita comodamente online attraverso il portale “Alloggiati Web” della Polizia di Stato.

 

Cos’è la tassa Airbnb

L’imposta è stata introdotta nel 2017 dall’ex Governo Gentiloni con il decreto 50/2017. La reazione è stata un’immediata contrapposizione dei soggetti interessati, Airbnb in testa, che hanno intrapreso una lunga battaglia legale (non ancora conclusa) e si sono sempre rifiutati di adempiere agli obblighi previsti dalla nuova normativa.

Con la sentenza n.2207/2019 il Tar del Lazio si è espresso a favore del Governo, respingendo le richieste di Airbnb che, comunque, ha deciso di fare ricorso presso il Consiglio di Stato. Quest’ultimo il 18 settembre con l’ordinanza n.6219 ha rimesso tutto nelle mani della Corte di Giustizia Europea.

Quindi, ad oggi la situazione è ancora molto confusa e il gigante degli affitti brevi Airbnb si rifiuta di applicare la legge che, tuttavia, andrò di seguito a descrivere. Viene sancito l’obbligo per tutti gli intermediari immobiliari che si occupano della gestione di locazione di appartamenti e case vacanze, di applicare una cedolare secca sugli affitti brevi.

La tassa fa riferimento anche a tutte quelle piattaforme online che svolgono il ruolo di intermediari immobiliari e tra le più famose c’è, appunto, Airbnb. Con l’applicazione della nuova legge questi soggetti dovrebbero essere costretti, al momento di pagare la quota all’affittuario a loro affiliato, a versare nelle casse dell’erario una ritenuta fissa pari al 21% del canone di locazione, assumendo così il ruolo di sostituti d’imposta.

La tassa non va ad incidere più di tanto sulle finanze del turista che, tuttavia, in alcuni casi, potrebbe pagare qualcosa in più per la locazione. Il vero cambiamento riguarda invece i proprietari che non potranno esimersi dal versare l’imposta richiesta in quanto detratta automaticamente dai loro proventi.

Con l’introduzione della tassa sugli affitti brevi, i controlli rigidi e soprattutto il ruolo di sostituto d’imposta vengono assunti direttamente dall’intermediario immobiliare, che sarà così costretto a versare il tributo direttamente dalla piattaforma web con una notevole riduzione di tutti i fenomeni di evasione fiscale legati alle locazioni turistiche di brevi periodi.

Una legge che si propone di infliggere un duro colpo a tutti coloro che posseggono seconde case adibite a strutture ricettive, villette al mare o in montagna affittate regolarmente a turisti, appartamenti o camere ubicate nei centri storici delle più note città d’arte e che, da anni, hanno intascato ingenti somme di denaro senza versare, il più delle volte, nemmeno un centesimo di imposte.

La tassa Airbnb prevede, da una parte verifiche molto severe, e dall’altra una serie di nuovi regolamenti per costringere tutti i proprietari a pagare la cedolare secca, sopratutto, sui contratti di locazione sotto i 30 giorni. Ed è proprio questo tipo di affitto breve ad essere messo sotto i riflettori in quanto, per legge, non vi è l’obbligo di registrare il contratto presso l’Agenzia delle Entrate e, di conseguenza, risulta decisamente più complicato accertare il regolare pagamento delle imposte.

In definitiva, la nuova normativa, oltre ad obbligare ad applicare una ritenuta al 21%, impone ai portali web come Airbnb e le agenzie immobiliari di comunicare al Fisco tutti i dati relativi ai contratti di affitto breve stipulati attraverso i loro servizi. Infine, devono rilasciare al proprietario la certificazione unica a dimostrazione del regolare versamento della ritenuta del 21% al Fisco.

 

Come funziona la cedolare secca 21% sugli affitti brevi

Vediamo ora come funziona esattamente il meccanismo delle cedolare secca al 21% introdotta dal Governo. È bene ricordare che l’imposta sugli affitti brevi, come per qualsiasi altro contratto di locazione, è sempre esistita ma sono pochi a pagarla. Quindi, la tassa Airbnb non è un nuovo tributo richiesto dallo Stato, ma bensì una modifica introdotta per combattere una dilagante evasione fiscale.

Le nuove regole prevedono che, intermediari e agenzie immobiliari, applichino una cedolare secca al 21% sul valore del canone di locazione pagato dall’inquilino per il periodo pattuito. La legge italiana permette di poter applicare questa particolare aliquota a tutti i canoni incassati per l’affitto di case vacanze quindi, il reddito generato non va a concorrere alla formazione del reddito imponibile ma viene tassato separatamente al 21%.

Ricapitoliamo esattamente quali sono gli obblighi a cui, agenzie immobiliari e intermediari, devono adempiere:

  • comunicazione all’Agenzia delle Entrate: i soggetti sopra menzionati sono tenuti a comunicare tutti i contratti di affitto breve anche sotto i 30 giorni;
  • trattenere una ritenuta fissa del 21% come cedolare secca sul contratto di locazione nell’esatto momento in cui viene effettuato il pagamento del locatore;
  • assumere la posizione di sostituti d’imposta versando nelle casse del Fisco il 21% trattenuto e rilasciare al proprietario della casa vacanza la relativa certificazione fiscale.

 

A chi si applica la tassa Airbnb e cosa cambia

La nuova imposta comporta dei cambiamenti esclusivamente a due soggetti:

  • Intermediari immobiliari che operano anche con piattaforme online: chi decide di mettere a disposizione la propria casa, l’appartamento, o solo delle camere, il più delle volte si affida a portali web specializzati come Airbnb, Tripadvisor, Booking o Expedia i quali offrono i propri servizi per permettere al soggetto di avere maggior visibilità e affittare con successo la struttura. L’affittuario effettua il pagamento comodamente via web sempre sfruttando il portale online. Ciò che cambia con l’introduzione della nuova legge è che, Airbnb o qualsiasi altro intermediario, sarà tenuto ad applicare sul prezzo totale una ritenuta del 21% da riversare poi all’Erario. Una novità che costringe, lo stesso intermediario, ad assumere la posizione di sostituto d’imposta, con il proprietario che non ha più alcuna possibilità di evadere le tasse, poiché già detratte dal suo compenso. Altro obbligo spettante, è comunicare all’Agenzia delle Entrate tutti i contratti di affitto breve conclusi attraverso il web da parte dell’intermediario. Quest’ultimo, dovrà rilasciare, ogni anno entro il 31 marzo, la certificazione che attesta gli importi ricevuti e le relative ritenute applicate a tutti i proprietari che hanno utilizzato la piattaforma per affittare la propriA casa vacanze. Il mancato rispetto delle regole appena citate dovrebbe comportare una sanzione amministrativa pari a 2000 euro ai danni dell’intermediario.
  • Agenzie immobiliari: devono sottostare alle medesime regole descritte per gli intermediari online. Anche in questo caso assumeranno la posizione di sostituti d’imposta, applicando la cedolare secca al 21%, riversando la ritenuta al Fisco, comunicando all’Agenzia delle Entrate tutti i contratti di locazione breve e rilasciando ogni anno la certificazione unica.

Come abbiamo visto, per il proprietario e l’affittuario non cambia praticamente nulla a livello operativo, in quanto, il versamento dell’imposta avviene in modo completamente automatico da parte dell’intermediario immobiliare. Quel che cambia, è l’impossibilità di fare i furbetti e non dichiarare i proventi incassati al Fisco.

 

Caratteristiche della cedolare secca sui contratti di locazione

Le ultime novità introdotte dal Governo non hanno fatto altro che ribadire la possibilità di applicare sugli affitti brevi il regime di tassazione ordinaria oppure di beneficiare del regime semplificato attraverso la cedolare secca.

Ricordiamo che tale imposta, in forma di aliquota unica, sostituisce di fatto i seguenti tributi:

  • IRPEF sull’immobile messo in affitto;
  • addizionali comunali e regionali ai fini IRPEF;
  • imposte di bollo;
  • imposta di registro.

La legge ha stabilito due diverse aliquote per la cedolare secca e precisamente:

  • 10% nel caso di affitto tramite canone concordato;
  • 21% per tutti i contratti di locazione in regime di libero mercato e per gli affitti brevi tipici della case vacanze.

Ad oggi, la normativa fiscale prevede che il pagamento della cedolare secca avvenga mediate il modello F24 utilizzando il relativo codice tributo e deve essere versato con le seguenti scadenze (sono le stesse per il pagamento dell’IRPEF):

  • entro il 30 novembre: versamento dell’acconto in un’unica soluzione pari al 95% dell’imposta totale se l’importo è inferiore a 257,52 euro. Se l’importo è superiore il pagamento avviene in due rate la prima della quale entro il 30 giugno (corrisponde al 40% del 95%) e la seconda entro il 30 novembre per versare il restante 40% (calcolato sempre sul 95% del totale dovuto);
  • entro il 30 giugno dell’anno successivo: deve essere effettuato il pagamento del saldo e, in caso di ritardo si può pagare entro il 31 luglio ma è necessario applicare una maggiorazione dello 0,40%.

I codici tributo da indicare nel modello F24 per la cedolare secca sono:

  • 1840 nel caso di versamento delle prima rata dell’acconto;
  • 1841 per il versamento della seconda rata dell’acconto;
  • 1842 per il pagamento del saldo.

Ad oggi, che si è ancora in attesa che la turbolenta situazione scaturita a seguito dell’introduzione della tassa Airbnb si chiarisca, non esiste l’obbligo di registrare, presso l’Agenzia delle Entrate, un contratto di locazione con durata inferiore ai 30 giorni, anche se questa opzione potrebbe cambiare con i prossimi aggiornamenti in materia. In tutti gli altri casi è obbligatoria la registrazione dell’opzione cedolare secca compilando il modello RLI 2019 utilizzando il software RLI.

 

Le novità del decreto crescita 2019 sugli affitti brevi

Anche con il decreto crescita 2019 convertito in legge e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il Governo ha previsto una serie di novità con lo scopo di dare una stretta sulle locazioni brevi. Ecco quali sono le principali:

  • dal mese di agosto è partita la raccolta dei dati delle strutture ricettive presenti in Italia: l’obbiettivo è creare un database a livello nazionale di ogni Regione per poter catalogare tutti gli immobili utilizzati come strutture turistiche alternative con un occhio di riguardo per case e appartamenti destinati agli affitti brevi;
  • ogni struttura ricettiva deve essere provvista di un codice identificativo da impiegare obbligatoriamente negli annunci online: in questo modo si facilitano le operazioni di verifica del Fisco che potrà conoscere con facilità la tipologia, le caratteristiche e l’ubicazione dell’immobile, nonché le principali informazioni sul proprietario. Negli annunci online, pertanto, vige l’obbligo di mostrare il codice identificativo al fine di rendere molto più semplici i controlli fiscali. I dati vengono comunicati direttamente all’Agenzia delle Entrate;
  • nel caso l’annuncio online sia sprovvisto di codice identificativo sono previste sanzioni amministrative che vanno da un minimo di 500 euro fino ad un massimo di 5.000 euro per ogni singolo annuncio. Cifre che vengono raddoppiate in caso di reiterazione della violazione.
   

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