Piano di welfare aziendale: la gestione dei residui
In questi ultimi anni, si sente spesso parlare di welfare aziendale, ma non tutti sanno cosa voglia dire questo termine, in cosa consista un piano di welfare aziendale e quali aziende possano sfruttare questo strumento.
Di seguito proverò a fare chiarezza su questi aspetti affrontando anche il problema della gestione dei residui relativi ai benefit non utilizzati dai dipendenti.
Dare una definizione univoca ed assoluta di welfare aziendale non è possibile in quanto con questo termine vengono racchiusi svariati strumenti e iniziative contrattuali a favore di imprese e lavoratori subordinati, addirittura, il nostro ordinamento non da una vera e propria definizione di welfare ma, in generale, possiamo catalogarlo come l’insieme delle iniziative contrattuali (o benefit) poste in essere a favore del lavoratore per incrementare il suo benessere e quello della sua famiglia..
Dal welfare aziendale traggono beneficio anche le aziende che hanno il grosso vantaggio fiscale di poter dedurre tutti i costi relativi ai servizi offerti ai dipendenti dal proprio reddito di impresa.
Per capire quanto possano essere convenienti per le imprese i piani welfare è sufficiente fare un esempio:
- Un azienda con 4 milioni di euro di utile, e senza un piano di welfare, si ritroverebbe con una tassazione IRES (24%) di 960.000 euro;
- La stessa azienda con 4 milioni di euro di utile e con un piano di sostegno ai dipendenti di 400 mila euro di costi totalmente deducibili, vedrebbe ridursi il proprio imponibile IRES a 3,6 milioni e la relativa tassazione scenderebbe a 864.000 euro.
- Se la stessa azienda volesse, invece, erogare un premio al lavoratore di 500 euro netti in busta paga, sarebbe costretta a pagare, su quella cifra, i contributi previdenziali (circa 250 euro) e il percipiente sarebbe soggetto a tassazione IRPEF su quella somma;
- Qualora lo stesso premio venisse, invece, convertito in benefit tramite iniziative di welfare aziendali, il costo pagato dall’impresa sarà solamente di 1.000 euro integralmente deducibili e il dipendente sarà esentato, su quella cifra, da qualsiasi imposizione fiscale e contributiva.
Ricapitolando, i vantaggi di porre in atto iniziative di welfare aziendale comportano un notevole risparmio di imposte e contributi previdenziali per l’azienda relativamente a quanto convertito da retribuzione ordinaria a welfare aziendale e, per il dipendente, la totale detassazione di beni e servizi ricevuti nello stesso ambito, in quanto, il valore di quanto, della retribuzione ordinaria, viene convertito in welfare è totalmente escluso dall’imponibile IRPEF e, di conseguenza, anche dai contributi previdenziali.
In linea di massima, laddove sia possibile farlo, per un lavoratore dipendente sarebbe particolarmente vantaggioso convertire il premio di risultato, ad esempio, in iniziative di welfare aziendale come piani di sostegno in ambito previdenziale, sociale, educativo o ricreativo, in alternativa al denaro. Questi benefit, infatti, saranno totalmente esenti da qualsiasi imposizione.
Indice:
Come si implementa un piano di welfare aziendale
Le aziende che hanno intenzione di implementare al loro interno un piano di welfare aziendale che serva, effettivamente, a migliorare la vita per proprio personale, devono costruire un sistema che sia tarato sulle loro esigenze.
Per questo motivo, prima del suo lancio, è necessaria una fase di analisi che avrà l’obiettivo di determinare la composizione demografica dei dipendenti e stabilire quali possano essere i benefit più adatti a loro. In parecchie imprese, per arrivare a questo, vengono effettuati sondaggi tra il personale per individuare quali siano le reali necessità, esigenze o preferenze circa le agevolazioni da rendere disponibili. Nel processo decisionale, spesso, vengono coinvolti anche i sindacati.
Il secondo passaggio, dopo aver stabilito quali potrebbero essere le esigenze che stanno più a cuore ai propri dipendenti, è la scelta del partner attraverso cui erogare i servizi. Sul mercato sono disponibili diverse piattaforme che offrono flessibilità, autonomia per il personale e compliance con la normativa fiscale.
Tali piattaforme, oltre a preoccuparsi della gestione e dell’erogazione dei servizi, aiutano l’azienda, anche nella fase di analisi delle esigenze interfacciandosi con i lavoratori e coi sindacati.
Quali benefit possono rientrare nell’ambito del welfare aziendale
Tra le agevolazioni facenti parte del welfare aziendale, le imprese possono mettere a disposizione dei propri dipendenti alcune forme di benefit flessibili a scelta tra le seguenti opzioni:
- Buoni pasto;
- Servizi di trasporto collettivo casa-lavoro;
- Buoni di acquisto in convenzione con altre organizzazioni;
- Borse di studio;
- Servizi assistenziali a figli e anziani non autosufficienti;
- Servizi di asilo nido;
- Visite specialistiche e/o controlli sanitari;
- Buoni benzina;
- Fringe benefits;
- Mutui e finanziamenti;
- Rimborso spese istruzione;
- Assicurazioni per rischio malattia grave e/o non autosufficienza;
- Il telefono aziendale;
- La fornitura di prodotti aziendali gratuitamente o ad un prezzo inferiore a quello di listino;
Nell’ambito di queste iniziative, sostitutive di un parte della retribuzione in denaro, il lavoratore, oltre a non pagare imposte e contributi su quanto ricevuto, si sente, in qualche modo, coccolato dall’impresa per cui lavora e, di conseguenza, ha la propensione ad un maggiore impegno ed un particolare attaccamento al proprio lavoro.
Le forme di welfare aziendale basate su benefit aziendali, essendo totalmente detassate, riducono in maniera significativa il cuneo fiscale, ossia, la differenza tra quanto costa, all’azienda, il dipendente e quello che effettivamente percepisce lo stesso in busta paga.
Come gestire i residui dei piani di welfare aziendali
Per la gestione dei benefit relativi al welfare aziendale le imprese attribuiscono un semplicissimo e pratico conto welfare ad ogni dipendente che, altro non è che un conto virtuale gestito da una piattaforma informatica all’interno del quale vengono caricati i crediti che il titolare del conto può spendere in servizi e beni di welfare.
Il credito maturato dal lavoratore, che può essere erogato dall’azienda attraverso i benefit sopra elencati, può venir utilizzato liberamente dal dipendente, ma, spesso, soltanto entro un termine previsto dall’azienda che normalmente è rappresentato dal periodo di imposta in cui tale credito viene maturato.
Se il lavoratore utilizza e converte la totalità del suo credito in benefit entro la scadenza, il problema non si pone perchè al termine dell’anno, il conto welfare è azzerato e il dipendente ricomincerà a maturare un nuovo credito, da convertire in benefit, dal periodo di imposta successivo.
Succede però, molto frequentemente, che alcuni lavoratori non usufruiscano di tutto il credito entro i termini previsti e, in questo caso, esistono diverse soluzioni applicabili per la gestione di tale residuo.
E’, innanzitutto, utile specificare che non esiste una normativa specifica che possa regolare queste situazioni e, pertanto, la regolamentazione viene resa esplicita sulla base dei singoli accordi e regolamenti interni relativi ai piani di welfare aziendali. Ogni impresa, dunque, potrà avere un proprio regolamento e gestire i residui in base agli accordi sindacali presi dando luogo a svariate opzioni, più o meno diffuse, per la fruizione del credito non utilizzato a fine anno.
In taluni casi il credito viene totalmente azzerato alla scadenza del periodo stabilito. Opzione certamente non gradita ai lavoratori ma che mette gli stessi nella condizione di dover seguire delle regole ben precise circa i tempi di fruizione, evitando all’azienda di avere a che fare con saldi da riportare di anno in anno sul conto welfare e un debito sempre in crescita.
Tuttavia, altre imprese tendono a non porre dei limiti temporali alla fruizione dei benefit legati al conto welfare per conservare liquidità e, in questo caso, il valore non utilizzato potrà essere trasferito all’annualità successiva. In questo caso il lavoratore potrà usufruire, o accumulare credito welfare, sommando anche più annualità e convertirlo, successivamente, in beni e servizi di maggior valore.
E’ comunque importante che, qualunque sia il modus operandi per la gestione dei residui di welfare in azienda, sia sempre presente una specifica indicazione, chiara e comprensibile a tutti, nel regolamento aziendale.
E’ possibile convertire in denaro i residui di welfare aziendale?
La risposta secca a questo interrogativo è: “dipende…” che, detta così lascia spazio a non poche interpretazioni ma, per capire meglio questo “dipende” è necessario fare una distinzione in macro-categorie relativamente alla provenienza delle risorse che possono alimentare il conto welfare del lavoratore subordinato:
- risorse derivanti dal welfare previsto dal contratto collettivo nazionale di riferimento (Welfare da CCNL);
- risorse derivanti dalla scelta di convertire in welfare i premi di risultato (Welfare da premio);
- risorse derivanti da quanto messo a disposizione dall’azienda al lavoratore per i servizi previsti nell’art. 51 del TUIR (Welfare on top);
- eventuali somme aggiuntive concesse dall’azienda come incentivo alla conversione del premio di risultato in welfare ai lavoratori (Welfare on top);
Dopo aver fatto questa classificazione viene molto più semplice dare una spiegazione al “dipende“, infatti, solo ed esclusivamente il Welfare da premio potrà essere convertito in denaro. L’agenzia delle Entrate vieta espressamente la conversione in denaro sia del “welfare on top” che del “welfare da CCNL“.
Detto questo, per concludere, è utile rispondere ancora ad un ulteriore interrogativo circa la convenienza o meno della conversione in denaro dei residui di welfare aziendale.
La risposta non può che essere negativa, in quanto, sugli importi convertiti in denaro versato nelle tasche dei lavoratori è prevista un’imposta sostitutiva del 10%, giusto per non rendere appetibile questa opzione, né per l’azienda né, tanto meno, per il lavoratore.
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