“Cuneo fiscale” è un’espressione ormai di uso assai comune: si sente nominare quasi quotidianamente nei telegiornali e talk show che affrontano i problemi cronici del nostro Paese come ad esempio l’emergenza lavoro.
Un termine che esce con sconcertante frequenza dalla bocca dei politici, soprattutto durante le campagne elettorali, nei soliti discorsi impregnati di demagogia e populismo. Quando si aprono discussioni su argomenti che riguardano il rilancio occupazionale, la crescita economia, il sostegno alle imprese puntualmente si tira in ballo il cuneo fiscale, facendo proseliti su quanto sia di fondamentale importanza riuscire a ridurlo.
- Ma in realtà cosa rappresenta il cuneo fiscale?
- Come funziona e come si calcola?
Tutte domande a cui cercheremo di dare una risposta per chiarire una volta per tutte le idee su questo argomento tanto popolare, quando spesso di significato poco conosciuto.
Indice:
- Che cos’è il cuneo fiscale?
- Cuneo fiscale e cuneo previdenziale
- Come si calcola il cuneo fiscale?
- Il cuneo fiscale in Italia: percentuali da record con paga oraria tra le più basse
- Statistiche per meglio capire cos’è il cuneo fiscale
- Cuneo fiscale: da anni si parla di riduzione e tagli
- Cuneo fiscale: le novità
- Il cuneo fiscale: una morsa che lascia ben poca speranza di crescita
Che cos’è il cuneo fiscale?
In economia il cuneo fiscale rappresenta l’aumento di prezzo che subisce uno specifico bene quando viene introdotta un’imposta sulla produzione o il consumo del bene stesso.
Questa affermazione detta così ha significato più per un economista che non per una persona comune. Le cose cambiano decisamente quando si studiano gli effetti della pressione tributaria sul reddito dei lavoratori.
In questo caso il cuneo fiscale rappresenta una percentuale tra le imposte è il costo del lavoro e riguarda non solo gli imprenditori, ma anche i dipendenti, lavoratori autonomi e liberi professionisti.
Per il calcolo si prendono in considerazione tutte le tasse dirette, indirette e i contributi previdenziali che lavoratori e datori di lavoro devono versare nelle casse dell’erario.
La sua importanza è dovuta al fatto che rappresenta un chiaro ed inequivocabile indice della somma di tutte le tasse che pesano sul costo complessivo del lavoro (comprendendo sia il committente che chi esegue la prestazione).
Per spiegarlo in maniera ancor più semplice, il cuneo fiscale è la differenza tra la retribuzione lorda versata dal datore di lavoro e lo stipendio netto incassato dal dipendente.
Cuneo fiscale e cuneo previdenziale
La differenza sostanziale tra le due tipologie sta tutta nella differenza di tributo che sia andrà a versare:
- Da una parte c’è il cuneo fiscale ovvero l’insieme delle tasse dirette ed indirette che costituiscono la fiscalità generale e che sono necessarie per finanziare la così detta spesa pubblica (infrastrutture, scuola, sicurezza, ecc).
- Dall’altra c’è invece il cuneo previdenziale ovvero i contributi previdenziali che sono indispensabili per sostenere i sistemi pensionistici obbligatori e che vengono restituiti ai lavoratori sotto forma di servizi pubblici. Si può affermare che il cuneo previdenziale nel costo del lavoro, rappresenti una spesa a sostegno dei diritti dei lavoratori.
Come si calcola il cuneo fiscale?
Per il calcolo del cuneo fiscale si devono tenere in considerazione tutti i prelievi tributari che gravano sul contribuente a seconda della categoria lavorativa di appartenenza. In maniera molto semplice lo possiamo calcolare nei seguenti modi:
- cuneo fiscale per il lavoratore dipendente: è dato dalla somma di IRPEF più le addizionali regionali e comunali e i contributi previdenziali.
- cuneo fiscale per il lavoratore autonomo e il libero professionista: è dato dalla somma ddi IRPEF con le addizionali regionali e comunali e con l’aggiunta dell’IVA e dei contributi previdenziali.
- cuneo fiscale per le aziende (datori di lavoro): è dato dalla somma dell’imposta IRPEF con le addizionali regionali e comunali e con l’aggiunta dell’IVA e dei contributi previdenziali.
Per rendere le cose più semplici, il cuneo fiscale si può calcolare facendo la differenza tra quanto deve versare un’azienda complessivamente per lo stipendio di un suo lavoratore dipendente e il compenso netto che quest’ultimo percepisce in busta paga.
Il cuneo fiscale in Italia: percentuali da record con paga oraria tra le più basse
Una della tante classifiche in cui il nostro Paese si colloca nelle prime posizioni, è quella della paga oraria. Purtroppo però, il buon risultato non è motivo di vanto visto un dato che si attesta a 28 euro, ben al di sotto dei 30,3 euro della media dell’Eurozona. Se paragonata poi ad altri paesi, da ritenere diretti competitor, i dati sono imbarazzanti: la Germania assicura una tariffa oraria di 34,1 euro e la Francia di ben 36 euro. La crescita della paga oraria lo scorso anno è stata dello 0,8% contro il 2,3% dell’Ue a 28 membri.
Il fatto ancor più preoccupante è rappresentato dalla combinazione di una paga oraria tra le più basse nei paesi maggiormente sviluppati della zona euro, con un cuneo fiscale invece tra i più alti dell’intera Unione Europea.
Per dare un dato su tutti: Eurostat ha calcolato per l’Italia il cosiddetto non-wage costs (contributi e prelievi fiscali sui redditi lordi) al 27,4%, battuto solamente da quello delle Lituania al 28,3%. Una vera morsa a tenaglia a cui è impossibile sfuggire: da una parte salari praticamente a crescita zero e dall’altra un prelievo fiscale ed un costo del lavoro semplicemente soffocanti.
Statistiche per meglio capire cos’è il cuneo fiscale
Per comprendere facilmente l’importanza del cuneo fiscale, è sufficiente dare uno sguardo agli studi effettuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
Entrambi gli studi portano alla conclusione che il cuneo fiscale in Italia viaggia ben oltre al 46%, toccando quote superiori al 47% se si considera il solo nord del Paese. Il peso per le aziende è di circa il 25,6% mentre il restante 20,6% è a carico del lavoratore.
Per intenderci: se l’azienda versa 100 euro il dipendente ne percepisce 53,8 euro. Quindi da una parte il committente vede crescere enormemente i costi da dover sostenere per gli stipendi e dall’altra i lavoratori assistono impotenti al prelievo in busta paga. Tutto questo a discapito della domanda interna, di nuove assunzioni e in generale della crescita economica del Paese.
Cuneo fiscale: da anni si parla di riduzione e tagli
Da diversi anni aleggiano nell’aria proposte più o meno serie per abbassare il cuneo fiscale. Con il passare del tempo si sono trasformate in semplici voci mai sostenute da fatti concreti. L’unico effettivo tentativo di invertire la rotta è avvenuto nel 2014 con il Governo Renzi, introducendo il famoso e criticato bonus da 80 euro al mese. Un’agevolazione per favorire i lavoratori dipendenti con redditi più bassi e resa possibile grazie alla raccolta delle risorse a causa dell’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie.
Se l’intenzione era buona e l’obiettivo finale era cercare di dare una scossa alla crescita del paese (aumentando la domanda interna), in realtà, questa mossa, ha sortito pochi effetti per non dire il nulla assoluto.
A ormai oltre 3 anni di distanza, gli 80 euro mensili non hanno certo contribuito a diminuire il cuneo fiscale e favorire la crescita economica. Analizzando il periodo compreso tra il 2014 e il 2018, le percentuali sono rimaste praticamente inalterate, facendo arrivare l’Italia al primato non certo virtuoso di paese con uno tra i più alti cunei fiscali al mondo.
Del resto i dati della pubblicazione Taxing Wages che analizza il livello del carico fiscale sul lavoro di tutti i Paesi Membri dell’OCSE, non lasciano spazio ad alcun dubbio. Il peso della pressione tributaria sul lavoro avrebbe addirittura raggiunto l’impressionante percentuale del 49%, ben più alto del 35,9% della media dei Paesi Membri e in aumento dello 0,8% rispetto all’anno precedente.
Cuneo fiscale: le novità
Il nuovo governo, nato dalla coalizione tra Lega e Movimento 5 Stelle, sta ormai portando a termine la manovra finanziaria in cui dovrebbero esserci importanti novità per cercare di ridurre il cuneo fiscale. Il problema è come sempre trovare le risorse economiche necessarie per sostenere gli eventuali tagli. Le iniziative più significative riguardano la flat-tax 2019 e la modifica del Bonus Renzi.
Un aspetto della flat-tax 2019 riguarda le agevolazioni per le partite IVA con ricavi e compensi fino a 100mila euro. Si tratta di un regime forfettario in cui si applicherebbe un’aliquota del 15% per ricavi fino a 65mila euro e del 20% per la parte incrementale fino a 100mila euro.
La differenza rispetto alla situazione attuale non è nella percentuale di tassazione, ma nel limite di reddito. Se il decreto otterrà la fiducia, si passerebbe dagli attuali limiti di 30mila euro per i professionisti e 50mila euro per esercenti e imprenditori, a 100mila euro.
La flax-tax 2019 andrà anche ad interessare le startup a cui applicare un’aliquota del 5% per un periodo di 5 anni e rispettando come requisito un’età compresa tra 35 e 55 anni. Quindi tale agevolazione sarebbe legata all’età dell’imprenditore e non al solo fatto di aver creato una nuova impresa.
Per quando riguarda il Bonus Renzi da 80 euro, l’intenzione è quella di trasformarlo da agevolazione elargita direttamente in busta paga a detrazione fiscale. Per quanto riguarda il valore del contributo e i requisiti per poterne beneficiare, nulla cambia. Le cifre rimarranno invariate così come gli scaglioni di reddito dei soggetti richiedenti.
La sostanziale novità, sarà la possibilità di ottenere una riduzione sulle tasse da pagare, evitando così anche la spiacevole situazione, che potrebbe verificarsi tutt’ora, ovvero quella di doverlo restituire a fine anno per via di un aumento del reddito al di fuori delle soglie previste.
Tale scelta è stata fatta per poter disporre di maggiori risorse da poter investire per sostenere il progetto della flat-tax 2019 ed far partire il famoso reddito di cittadinanza.
Le agevolazioni dovrebbero partire dal 2019 con l’attuazione delle Legge di Bilancio. Rimane l’interrogativo sulla effettiva sostenibilità della manovra ma soprattutto sul via libera dell’Ue.
Il cuneo fiscale: una morsa che lascia ben poca speranza di crescita
Il cuneo fiscale è una semplice percentuale ma che cela dietro di sé forse il più grave problema che attanaglia questo Paese: la soffocante pressione tributaria e il costo del lavoro alle stelle. Gli ultimi dati forniti dall’Istat non lasciano adito a dubbi e parlano di un cuneo fiscale compreso tra il 46% e 47%.
Un dato in lieve calo rispetto agli ultimi due anni ma, analizzato sul lungo periodo, in costante ed inesorabile crescita. Questi numeri in realtà si traducono in stipendi sempre più erosi da tasse e contributi previdenziali e un costo del lavoro così elevato che le aziende devono versare somme quasi doppie rispetto al compenso netto percepito dal lavoratore.
Un altro dato allarmante arriva analizzando ulteriori statistiche che riguardano il decennio compreso tra 2002 e 2012; un periodo con una fase economica caratterizzata da due diverse congiunture, dapprima favorevole e seguita da una profonda crisi.
In tale lasso di tempo il cuneo fiscale italiano è salito dell’1%. Il dato di per sé già allarmante che assume connotazioni ancor più cupe se paragonato all’andamento di altri paesi competitor, in cui invece ha avuto una generale diminuzione dello 0.9%.
Un’ulteriore testimonianza che all’estero si è cercato di affrontare la crisi sostenendo la ripresa e diminuendo il costo del lavoro.
Sono questi i numeri che condannano la tanto agognata crescita economica a rimanere, sostanzialmente, ferma al palo. In Italia c’è l’abitudine di parlare tanto ma non dare seguito a fatti concreti per venire incontro alle esigenze delle aziende e all’esercito di lavoratori dipendenti, che rappresentano le colonne portanti dell’economia del Paese.
Con il nuovo governo e la presentazione della manovra finanziaria, sembrerebbe finalmente in atto un tentativo d’invertire la tendenza e portare ad una significativa e tangibile riduzione del cuneo fiscale, vedremo se resteranno soltanto parole o se qualcosa si farà concretamente.
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