Deducibilità delle perdite relative a crediti inesigibili
Quando ci troviamo di fronte a fatture emesse non pagate dai clienti, la naturale reazione è quella di voler recuperare, ad ogni costo, quello che ci spetta di diritto attraverso solleciti e, se opportuno, passare alle vie legali per il recupero del credito. Tuttavia, sono molte le situazioni in sarebbe opportuno fare delle attente valutazioni per evitare, oltre al danno anche la beffa, ovvero non recuperare nemmeno un centesimo e doversi sobbarcare i costi e la perdita di tempo per il tentativo di recupero.
E fondamentale capire, anche attraverso l’aiuto del proprio avvocato di fiducia, se possa valere realmente la pena intraprendere delle azioni legali arrivando, il più delle volte, all’esecuzione forzata attraverso ad un decreto ingiuntivo e successivo pignoramento. Una procedura piuttosto lunga e dai costi non indifferenti, che rendere, pertanto necessaria un’indagine preliminare.
Si tratta quindi di svolgere un’attività di prevenzione giuridica atta a verificare: da una parte la sussistenza delle condizioni tali permettere il recupero del credito e dall’altra che risulti un’azione conveniente. Non è raro che per crediti di modesta entità, tirando le somme, risultino più le spese sostenute che il denaro recuperato.
Per semplificare ulteriormente il concetto, sarà necessario avere la certezza che esistano nelle disponibilità del debitore, effettivamente, i beni adeguati da poter aggredire. È ovvio pertanto, che se il debitore risulti essere nullatenente, senza conti correnti intestati a suo nome, e sprovvisto di beni mobili e immobili nonché di partecipazioni societarie a cui far riferimento, per il creditore è spesso più conveniente desistere da qualsiasi azione legale.
Avere un quadro preciso della situazione patrimoniale della parte debitrice è fondamentale prima di avviare qualsiasi iniziativa. Nei casi in cui tale verifica porta ad un esito negativo dimostrando che, almeno in via ufficiale, il debitore non possiede un patrimonio aggredibile, non resta che rassegnarsi. Sono frangenti in cui si dice che il credito è inesigibile, pertanto è assolutamente inutile sprecare risorse per un’azione legale e avere una sentenza favorevole dal tribunale, ma poi non veder soddisfatte le proprie pretese per mancanza di capitali e/o beni nelle proprietà della controparte.
Indice:
- Quando un credito è inesigibile
- Quando si può portare a perdita un credito
- Quando un credito è considerato irrecuperabile
- Deducibilità crediti prescritti
- Deducibilità crediti cancellati applicando i principi contabili
- Deducibilità delle perdite da procedure concorsuali
- Come dimostrare i crediti inesigibili
- Come ottenere la dichiarazione di irrecuperabilità
Quando un credito è inesigibile
In linea di massima, possiamo definire un credito inesigibile quando sussistono altissime probabilità che il debitore non sia in grado di pagarlo neanche dopo aver intentato nei suoi confronti tutte le azioni legali possibili per il recupero dello stesso.
Secondo quanto stabilito dalla legge 134/2012, un credito diventa automaticamente irrecuperabile qualora risulti scaduto da almeno 6 mesi e sia di modesto importo. A tal proposito i limiti sono stati fissati a 2.500 euro per le imprese con un fatturato fino a 150 milioni di euro e 5.000 euro per le imprese con introiti superiori ai 150 milioni di euro.
Tutte le altre forme di credito rimangono, invece, soggette alla normativa ordinaria vigente, che stabilisce l’inesigibilità nelle situazioni in cui la perdita del credito stesso è stata documentata con elementi certi e precisi. Ci riferiamo alle seguenti ipotesi:
- casi in cui i debitori sono sottoposti a procedura concorsuale oppure ad un accordo per ristrutturare il debito;
- attività di recupero credito non andate a buon fine;
- comprovato stato di insolvenza della parte debitrice;
- irreperibilità del debitore.
A tutto questo si devono aggiungere i fallimenti e la liquidazione coatta amministrativa di società. Ricordiamo inoltre, che la legge permette di portare a perdita l’intero credito, partendo dalla data in cui il debitore è stato sottoposto alla procedura concorsuale.
Quando si può portare a perdita un credito
Come abbiamo accennato alla fine del precedente paragrafo, la normativa fiscale prevede la possibilità di sfruttare lo strumento della defiscalizzazione sull’intero ammontare del credito inesigibile. Un’opportunità sancita dal TUIR con l’articolo 101 comma 5 e ribadita da una circolare dell’agosto 2013 da parte dell’Agenzia delle Entrate. Ciò consente di ottenere la deducibilità delle perdite sui crediti, a condizione che il creditore sia in grado di dimostrare l’infruttuosità delle azioni di recupero.
Sono defiscalizzabili tutti i crediti che abbiamo già descritto, ovvero quelli scaduti di modesta entità secondo i limiti di legge, con prescrizione del diritto alla riscossione, assoggettati a procedure concorsuali o in presenza di un accordo concluso di ristrutturazione del debito.
Quando un credito è considerato irrecuperabile
Un credito può essere irrecuperabile in modo definitivo, oppure risultare come una cosiddetta perdita potenziale. La differenza è che nel primo caso si esclude la possibilità di pagamento del debitore, mentre nel secondo l’inadempimento della parte debitrice è solo temporaneo. Vediamo di capire nello specifico quali sono tutti i casi in cui un credito si può considerare definitivamente irrecuperabile. In particolare, tale situazione si verifica:
- qualora il debitore risulti irreperibile, ossia è stato emanato un decreto dalle autorità che accerta la fuga o il suo stato di latitanza;
- nei casi di furto d’identità da parte del debitore;
- quando persiste l’assenza del debitore ai sensi dall’articolo 49 del Codice Civile;
- in casi di esito negativo di azioni esecutive avviate dal creditore. Sarà necessaria la presenza di documenti che attestano l’infruttuosità dei vari tentativi, basandosi anche su valutazioni riguardanti la situazione patrimoniale ed economica della parte debitrice;
- qualora il debitore presenti una situazione economica precaria, un’oggettiva mancanza di liquidità finanziaria e un’incapienza patrimoniale per poter assolvere agli adempimenti. Condizioni che sconsigliano l’avvio di procedure giudiziali nei confronti del debitore;
- per crediti commerciali di piccolo importo, per cui l’attività di recupero risulterebbe troppo costosa;
- quando il credito viene ceduto provocando la definitiva fuoriuscita del creditore dal diritto della sfera giuridica, economica e patrimoniale;
- nelle situazioni in cui il creditore stabilisce una transazione con la parte debitrice, con conseguente diminuzione della cifra da restituire o degli interessi pattuiti. Tale procedura deve essere motivata dalle difficoltà economiche e finanziarie del debitore. In caso l’origine della transazione fosse di diversa natura, il debito non è considerato una perdita sui crediti, ma bensì una sopravvenienza passiva;
- in presenza della lettera di un avvocato incaricato della riscossione, in cui si dichiara l’esito negativo del tentativo;
- in presenza di iniziative infruttuose da parte di agenzie di recupero crediti. Apposite relazioni devono identificare il credito oggetto di recupero, la tipologia dell’attività intrapresa per recuperare il credito stesso, nonché le motivazioni che hanno portato all’inesigibilità definitiva. In pratica, si deve dimostrare che il debitore versa in una obiettiva situazione finanziaria e patrimoniale che non gli consente di pagare quanto dovuto;
- rinunciando al credito;
- nei casi di morte del debitore e in assenza di eredi oppure quest’ultimi abbiano deciso di rinunciare all’eredità.
Deducibilità crediti prescritti
Un credito va in prescrizione trascorsi 10 anni, sempre che in tale lasso temporale non siano intervenuti atti interruttivi (ad esempio viene notificata una richiesta di pagamento). Secondo l’articolo 101 comma 5 del TUIR è possibile portare a perdita l’intero importo anche se il diritto alla riscossione è prescritto, a patto che sussistano elementi certi e precisi. Ciò comporta la defiscalizzazione della perdita sul credito solo in presenza di requisiti di certezza e precisione, anche se precedenti alla prescrizione, ma non superando il periodo d’imposta a cui il diritto si prescrive.
Deducibilità crediti cancellati applicando i principi contabili
La condizione della presenza di elementi certi e precisi non è sempre necessaria per portare a perdita i crediti. Una di queste situazioni si manifesta in presenza di crediti cancellati dal bilancio, rispettando i principi contabili nazionali espressi dall’OIC 15 e internazionali dall’IAS 39.
Possiamo dedurre automaticamente le perdite, a seguito di cancellazione del credito dal bilancio, nelle ipotesi previste dalle legge e attraverso il transito dal conto economico, senza l’obbligo di dimostrare l’esistenza dei requisiti di certezza e precisione. Quindi è importante conoscere quali siano le ipotesi possibili:
- prescrizione del credito secondo le modalità viste in precedenza;
- cessione pro-soluto del credito, cioè quando il creditore garantisce al cessionario solo l’esistenza del credito stesso, ma non dando alcuna garanzia sull’effettiva possibilità che venga pagato dal debitore;
- accordo di transazione con la parte debitrice per ridurre l’importo del credito;
- rinuncia unilaterale al credito. In questi casi è opportuno dimostrare i motivi che portano a considerare svantaggiose eventuali iniziative di recupero e l’inconsistenza patrimoniale del debitore.
Deducibilità delle perdite da procedure concorsuali
Gli elementi certi e precisi sono imprescindibili in queste particolari situazioni:
- qualora il debitore venga sottoposto a procedura concorsuale;
- nel caso in cui la parte debitrice concluda un accordo di ristrutturazione del debito;
- in presenza di un piano attestato concluso dal debitore;
- quando il debitore risulta assoggettato a procedure con Stati esteri o territori con i quali l’Italia ha firmato accordi per lo scambio di informazioni.
Nei casi testé elencati, l’ormai famoso articolo 101 comma 5 bis del TUIR stabilisce l’ammissibilità della deduzione delle perdite sui crediti, sia nel periodo di imputazione in bilancio che in un periodo di imposta successivo rispetto a quello in cui sussistono i requisiti di certezza e precisione richiesti. Naturalmente ciò non è valido se il periodo d’imposta va oltre la data entro cui si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito da bilancio, così come stabilito dai principi contabili.
Come dimostrare i crediti inesigibili
Per poter godere del beneficio di portare a perdita i crediti inesigibili, è opportuno conservare una serie di atti che possano dimostrare la natura definitiva delle perdite. Nello specifico l’elenco comprende:
- documentazione che certifica l’effettivo avvio di procedure fallimentari come, ad esempio, una sentenza di fallimento;
- raccomandate inviate al debitore per intimare e sollecitare il pagamento;
- eventuali raccomandate rispedite al mittente a causa di destinatario irreperibile;
- relazioni che dimostrino i motivi dell’infruttuosità delle procedure di recupero attuate. Tra i documenti validi rientrano anche quelli in grado di confermare la deficitaria situazione patrimoniale del debitore oppure che costui risulta nullatenente;
- atto che certifica la condizione di pluriprotestato del debitore;
- certificato di morte in caso di decesso del debitore e la documentazione che dimostra l’assenza di erediti o che costoro hanno rinunciato all’eredità;
- decreto da parte delle autorità competenti che attesta lo stato di fuga o latitanza del debitore.
Come ottenere la dichiarazione di irrecuperabilità
Tra i documenti rilevanti al fine di dimostrare l’inesigibilità del credito, c’è la dichiarazione di irrecuperabilità. È sufficiente richiederla ad un legale oppure direttamente alla società di recupero crediti incaricata. Nella documentazione dovranno essere indicate tutte le attività svolte per ottenere la riscossione degli importi a credito. Inoltre, è bene che siano allegati i documenti che dimostrino come il credito sia definitivamente inesigibile.
Potrebbe anche risultare sufficiente una semplice dichiarazione rilasciata dall’avvocato che sconsiglia al creditore di intraprendere iniziative di recupero o azioni legali. Sono i casi in cui il patrimonio del debitore è del tutto insufficiente a garantire la soddisfazione delle pretese del creditore, quindi risulterebbe inutile e dispendioso avviare un’azione giudiziale. Un classico esempio è quello del debitore con il possesso di un solo immobile ma già ipotecato: sarebbe un deprecabile spreco di tempo e denaro avviare un pignoramento.
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