I mali del calcio italiano: plusvalenze fittizie ed evasione fiscale
Il calcio è lo sport più bello del mondo. Forse non tutti potranno essere d’accordo con tale affermazione, tuttavia rimane il fatto che rappresenta l’attività sportiva professionistica più seguita sul pianeta e con il più alto numero di sostenitori.
Sono passati i tempi in cui i giocatori erano persone comuni, i compensi si potevano ancora chiamare stipendi, le società di calcio erano, a tutti gli effetti, delle associazioni sportive presiedute da personaggi che investivano denaro solo per amore e passione.
Oggi di uguale è rimasto solo il nome dei club e i colori delle maglie (anche su questo ci sarebbe da discutere ma non è questo il luogo più consono), per il resto è un mondo completamente diverso. Le società si sono trasformate in vere e proprie aziende, alcune persino quotate in borsa, hanno fatturati di centinaia di milioni di euro, con allenatori e giocatori che ricevono compensi stratosferici.
Indice:
Le anomalie del mondo del calcio
Il calcio rimane un universo anomalo con regole proprie che vanno spesso al di la dell’umana comprensione. Le società pur fatturando milioni, generando profitti e perdite, non sono spesso trattate con lo stesse leggi di noi comuni mortali.
Quanti scandali hanno coinvolto i club calcistici negli ultimi anni, non sono in Italia, ma anche nei principali campionati internazionali?
Palesi violazioni delle leggi vigenti ma anche di norme imposte dalla FIFA. Per capire come funziona il sistema è sufficiente fare l’esempio di ciò che è successo in Italia nel 2003.
Il Governo presieduto dall’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, si vide costretto a fare un’interrogazione parlamentare e firmare in tutta fretta il famoso Decreto Salvacalcio.
Il motivo? Permettere a società come Inter, Milan e Lazio (solo per citarne alcune tra le più famose) di poter spalmare i debiti accumulati, nei precedenti scellerati esercizi di gestione, in 10 anni. Secondo le leggi tributarie italiane, tali società non avrebbero potuto prendere parte al campionato ma bensì essere dichiarate insolventi.
Un palese aiuto di Stato che violava anche le norme stabilite dalla Comunità Europea e che costrinse a ridurre da 10 a 5 anni il tempo entro cui le società avrebbero dovuto ripianare i debiti. Del resto, era palese che comunicare ad un popolo di milioni di tifosi che la loro squadra del cuore era fallita, poteva significare dare il via ad un’insurrezione popolare; pertanto si è continuato a far risplendere il pavimento nascondendo lo sporco sotto il tappeto.
Lo stesso metro di giudizio non stato però applicato per piccole realtà, club militanti nelle serie minori che proprio a partire dal 2003, sono state dichiarate fallite senza porsi troppi problemi, applicando alla lettera la normativa.
Società storiche come la Pro Vercelli, il Perugia, il Mantova, l’Ancona, e la Spal, sono solo alcuni esempi di club travolti da montagne di debiti e dichiarati falliti.
Tra le così dette grandi, solo Fiorentina e Napoli e Torino hanno pagato per gli errori commessi dai loro presidenti e sono sopravvissute grazie all’intervento di noti imprenditori che le hanno acquistate e riportate in auge. Il solito “due pesi e 2 misure” tutto italiano che ha affondato queste compagini salvandone altre messe peggio.
Il meccanismo delle plusvalenze fittizie
Giusto per restare in tema, un altro esempio di come alcune società calcistiche cercano di sistemare i loro conti è il meccanismo delle cosiddette plusvalenze fittizie. Diciamo subito che non è una gran novità, anzi si potrebbe considerare una pratica illecita utilizzata, ormai da anni, nel torbido mondo del calcio. Quindi, quando vengono puntualmente diramate le notizie di società pizzicate a gonfiare il prezzo dei propri giocatori, non si rimane stupiti più di tanto.
Prima di addentrarci nel nocciolo della questione, è bene chiarire cosa si intende in economia quando si parla di plusvalenza. In pratica è un aumento di valore di un bene immobile o mobile nel corso di un determinato periodo di tempo.
Detto così potrebbe sembrare un aspetto di rilevanza marginale, tuttavia, la plusvalenza ha una grande importanza ai fini fiscali, generando una maggior capacità contributiva con aumento dell’incidenza sulle imposte dirette.
Un altro aspetto estremamente importante è la natura contabile delle plusvalenze: costituiscono solo un aumento di redditività e non un effettivo ricavo monetario. Questo fatto impedisce di poter utilizzare una plusvalenza per coprire dei debiti a breve termine. Perciò una struttura finanziaria non può basarsi prevalentemente sulle plusvalenze perché, così facendo, sarebbe a forte rischio di morosità.
Tornando al fantastico mondo del calcio, vediamo nel dettaglio in cosa consiste di preciso il meccanismo delle plusvalenze fittizie. Come detto non è nulla di nuovo e puntualmente finisce con il fare scalpore solo quando coinvolge società militanti in serie A e B.
La questione è tornata di moda ultimamente grazie alle marachelle finanziarie di tre club: Chievo, Verona e Cesena. La vicenda ha acquisito notorietà solo perché finita sulle principali emittenti televisive nazionali e soprattutto per l’interesse diretto di Striscia la Notizia. Si tratta dell’ennesima brutta figura del calcio italiano che ha dimostrato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che basta solo grattare la splendente superficie per accorgersi del marcio che nasconde.
Il meccanismo utilizzato è estremamente semplice quanto redditizio. Basta fare un semplice e banale esempio per capire di cosa si tratta. Mettiamo il caso che una società acquista un giocatore per la cifra di 20 milioni di euro e successivamente lo rivende per 25 milioni. I 5 milioni di differenza rappresentano una plusvalenza che può essere considerata come un guadagno e messa a bilancio sotto la voce delle entrare dell’esercizio in corso.
Fino a qui non ci sarebbe nulla di strano ed illecito. Il problema nasce quando questa semplice regola viene distorta per falsificare i bilanci societari che, nel calcio moderno, spesso significano la sopravvivenza o la morte di un club.
La pratica comune è quella di gonfiare il costo del cartellino di un giocatore e di metterlo a bilancio. Quando si dice gonfiare si intende che il prezzo stabilito è fuori da qualsiasi logica di mercato. I giocatori utilizzati per tale sotterfugio non sono di certo i così detti top player o professionisti famosi, ma bensì atleti poco conosciuti, che sono ai margini della rosa, vivono perennemente seduti in panchina, raramente impiegati in partite ufficiali e molto spesso provenienti dai settori giovanili.
L’identikit del giocatore perfetto per queste operazioni è quindi un professionista che vive nell’ombra, senza notorietà e che non ha praticamente mercato; un calciatore con un valore di mercato inferiore al milione di euro che viene iscritto a bilancio con cifre n volte superiori.
Puntualmente quando il giocatore viene venduto si genera automaticamente una plusvalenza che finisce sotto le entrate. Il termine fittizia sta proprio ad indicare la natura del negoziato che non ha rispecchiato il reale valore dell’oggetto della vendita.
Qual è l’obiettivo di una plusvalenza fittizia?
L’obiettivo è chiaro: sanare le perdite. Non è necessario essere degli esperti di finanza per capire quale siano i reali obiettivi di società che pratica questo tipo comportamento illecito. Il calcio è business con cifre da capogiro ma sono ben poche le società che possono vantare bilanci virtuosi, anzi il più delle volte serve fare i salti mortali per tenere i conti in ordine.
Una di queste pericolose acrobazie è rappresentata dalle plusvalenze fittizie che permettono di sanare in parte o totalmente le perdite accumulate durante l’esercizio fiscale.
La plusvalenza fittizia incrociata
Per generare una plusvalenza è ovviamente necessario che ci sia un acquirente. A tal proposito la domanda sorge subito spontanea.
Chi può essere disponibile ad acquistare un giocatore praticamente sconosciuto, per di più con un prezzo gonfiato e che va al di fuori da ogni logica di mercato?
Il calcio è senza dubbio un mondo pazzo, il mercato lo è ancor di più visto le cifre che circolano. Un conto è acquistare Cristiano Ronaldo e un altro è prendere Pinco Pallino dovendo sborsare milioni di euro. Ecco che entra in gioco l’inevitabile collaborazione tra venditore ed acquirente.
Può anche capitare che la società che acquista un giocatore sia del tutto ignara del cartellino gonfiato ad arte e si faccia “infinocchiare” dal procuratore di turno che gli vende fischi per fiaschi, ma il più delle volte c’è la consapevolezza di entrambi i soggetti dell’atto illecito che si sta compiendo.
In questi casi si parla di plusvalenza fittizia incrociata, con la società acquirente d’accordo a mettere in atto la compravendita artefatta. Per tornare all’esempio fatto in precedenza, una società vende un calciatore al prezzo gonfiato di 25 milioni (5 milioni oltre il suo valore reale di 20 milioni) all’acquirente compiacente.
Il venditore ha generato una plusvalenza di 5 milioni da mettere a bilancio. A sua volta l’acquirente farà la stessa operazione cedendo un suo giocatore, sempre con prezzo gonfiato, all’altra società in modo da recuperare l’esborso.
Il risultato delle due compravendite alterate è che entrambe le società avranno generato dei proventi da mettere sotto la voce entrate per risanare il bilancio. Il tutto senza effettivamente aver realizzato reali movimenti di denaro. Una persona attenta potrebbe però avanzare l’obbiezione che il sistema di scambi appena citato, comporti in realtà una perdita perdita per entrambe le società , visti gli sforzi economici profusi equivalenti alle entrare ricevute.
Il ragionamento non farebbe una grinza se non fosse per un piccolo particolare. I ricavi sono immediatamente iscritti a bilancio contribuendo a sanare le finanze dell’esercizio in corso, mentre i costi sostenuti vengono ripartiti su più esercizi grazie al meccanismo dell’ammortamento.
Il prezzo del cartellino del giocatore può essere ammortizzato per un numero di anni pari a quelli stabiliti dal contratto. Pinco Pallino acquistato per 25 milioni di euro, al quale è stato proposto un contratto di 5 anni, permetterà alla società di ripartire l’esborso durante tutto il quinquennio.
È esattamente il meccanismo che hanno utilizzato per anni le tre società citate ad inizio articolo: Chievo, Verona e Cesena. Avevano creato una sorta di consorzio, una cooperativa della plusvalenza fittizia in modo da mettere a segno ripetute compravendite di giocatori con il solo scopo di risanare i propri bilanci.
Qui il testo deferimento di tali società da parte della F.I.G.C.
Per esempio negli ultimi tre anni la società calcistica Verona ha realizzato una cifra pari a 23 milioni di euro di plusvalenze grazie alle cessioni di giocatori al Cesena calcio. A sua volta il club romagnolo ha fatto lo stesso grazie agli scambi di giocatori con il Chievo.
Un bel circolo vizioso che ha le sue radici negli anni 90 ma che puntualmente viene sfruttato ancora oggi, soprattutto, dalle società minori. Anche molte operazioni tra le big del nostro campionato sono finite sotto osservazione delle autorità, come i numerosi scambi di giocatori avvenuti agli inizia del 2000 tra Milan e Inter con un discreto numero di operazioni, per così dire, sospette.
Il problema è che, se da un lato la plusvalenza fittizia permette di spalmare le perdite, queste non vengono comunque eliminate e si accumulano nel corso degli anni.
Le società che in passato hanno abusato di questi stratagemmi sottovalutando completamente le conseguenze si sono trovate spesso ad affrontare grosse difficoltà finanziare che spesso hanno causato il fallimento societario.
Si può combattere il fenomeno delle plusvalenze fittizie?
In realtà può essere solo scoperto con una fitte e accurate indagini da parte delle autorità competenti, ma ad oggi non esistono regole precise. Questo è dovuto essenzialmente alla difficoltà nello stabilire con assoluta chiarezza il prezzo di un giocatore.
Nessuno può vietare ad una società di decidere che Pinco Pallino costi 30 milioni di euro anche se è un totale sconosciuto e magari pure un brocco. Il mercato del calcio dovrebbe autoregolarsi con il meccanismo della domanda e dell’offerta, ma in realtà è un mondo che va al di fuori di ogni regola di economia e finanza.
Basta analizzare questi ultimi 5 anni valutando l’aumento esponenziale del costo del cartellino dei giocatori: aumenti per certi versi inspiegabili. Oggi, un qualsiasi calciatore di serie A che milita in una squadra di media classifica, quando finisce sul mercato viene ceduto per cifre almeno di 15/20 milioni di euro.
Per non parlare poi dei procuratori che, a conti fatti, finiscono per guadagnare più degli stessi calciatori. A rimetterci in tutta questa situazione sono i calciatori più giovani, magari anche molto promettenti, che finiscono, loro malgrado, in questo losco giro di scambi che spesso rappresentano la tomba della loro carriera.
Non solo plusvalenze false ma anche evasione fiscale
Un ambiente dove gira così tanto denaro non può che essere terreno fertile anche per l’evasione fiscale. Icone del calcio moderno come Messi, Cristiano Ronaldo e lo Special One Mourinho, sono balzate agli onori della cronaca, oltre che per i meriti sportivi, anche per più deprecabili questioni di problemucci con il Fisco spagnolo che ha scoperto, relativamente a questi soggetti, presunte evasioni per decine di milioni di euro, dovute all’occultamento di ingenti somme di denaro attraverso l’utilizzo di diverse società straniere a loro riconducibili.
Il denaro sottratto al fisco riguarda i ricavi provenienti dallo sfruttamento dei diritti di immagine che, per personaggi così famosi, rappresentano introiti ben più alti degli stessi faraonici stipendi percepiti. In pratica, vengono costituite delle società straniere che si preoccupano di gestire tutti i proventi dei diritti di immagine, generando quella che viene chiamata un’interposizione fittizia.
La realtà è dissimulata con un reddito che anziché spettare a chi effettivamente lo ha generato (il calciatore), viene attribuito alla società. Qualora il fisco riesca a dimostrare che tale società sia riconducibile all’atleta professionista, scatta la contestazione di mancata dichiarazione del reddito effettivamente percepito.
Le conseguenze sono sanzioni amministrative con, in aggiunta, il pagamento delle imposte previste dalla legge tributaria relativa a quel provente. Se tale somma di denaro nascosta al Fisco ha la natura di reddito da lavoro dipendente, anche la società (il club di appartenenza del giocatore) rischia contestazioni per la mancata dichiarazione delle ritenute a titolo di acconto.
Il fisco spagnolo non è affatto clemente contro i reati fiscali ed ha costretto tutti i personaggi coinvolti, che rischiavano anche pesanti sanzioni penali, a patteggiare di buon grado per evitare guai peggiori.
A Messi era stata comminata una pena di 21 mesi di reclusione risolta poi, con il pagamento di soli, almeno per lui, 455 mila euro di sanzione.
Ben altre cifre riguardano Cristiano Ronaldo. Al giocatore portoghese il fisco spagnolo aveva comminato una pena di 2 anni di reclusione per una cifra 18,8 milioni di euro sottratti all’erario. Naturalmente, anche in questo caso il patteggiamento ha portato alla sospensione del periodo detentivo e ad una multa di 5,7 milioni di euro.
Conclusioni
Sono finiti i tempi romantici di quando si stava con l’orecchio attaccato alla radio per seguire le gesta dei propri beniamini; si correva a casa e si aspettava con trepidazione le 6 di sera per vedere 90simo minuto alla TV.
Un’epoca in cui il calcio era fatto per lo più di gesti tecnici e tattici; oggi invece i termini ricorrenti sono minusvalenze, plusvalenze, scudetto del bilancio e fair play finanziario.
Imprenditori stranieri dalla dubbia reputazione spesso finiscono per acquistare squadre di calcio e poi rivenderle l’anno successivo, con un giro di denaro che è eufemistico definire poco chiaro.
Le vere partite non si giocano più su un campo di erba verde, ma nelle riunioni segrete degli hotel di lusso, negli studi dei commercialisti e nei corridoi dei tribunali. Un tempo il calcio era uno sport, oggi è solo un business e nemmeno così pulito.
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Renzo
Marzo 31, 2019 @ 23:15
Ottimo articolo da tutti i punti di vista, scritto con competenza e serietà.
Si può combattere il fenomeno delle plusvalenze fittizie solo istituendo un’imposta ad hoc, simile all’imposta di registro prevista per la vendita di immobili (tassazione anticipata, minimo al 10%).