Compensi amministratori: disciplina e risparmio fiscale

L’amministratore svolge un ruolo chiave all’interno di una SRL occupandosi sia di funzioni organizzative che dirigenziali ed è, soprattutto, responsabile delle proprie azioni nei confronti la società stessa. La carica potrebbe essere ricoperta da un solo soggetto, in questo caso si parlerebbe di amministratore unico, oppure da più persone (consiglio di amministrazione). Una figura, non sempre, di facile inquadramento giuridico in quanto, spesso, si trova ad essere anche dipendente della società, mentre in altri casi è invece un libero professionista.

Un amministratore riceve, per l’opera prestata, un compenso previsto nello statuto o stabilito tramite delibera assembleare. Il socio unico può decidere, invece in totale autonomia l’importo ritenuto più congruo per le attività svolte in qualità di amministratore, tuttavia l’Agenzia delle Entrate potrebbe considerare tale valore sproporzionato, o troppo basso, e disconoscerne in parte, o interamente, la deducibilità.

In quest’articolo cercheremo di analizzare in modo dettagliato tutto ciò che riguarda il compenso ricevuto da un amministratore, partendo dalla sua disciplina fiscale e descrivendo cosa cambia in base alla natura del rapporto di lavoro con la società, quando risulta deducibile, gli adempimenti e i contributi previdenziali a debito su tali importi, cosa accade al termine del mandato e approfondiremo anche il discorso su rimborsi spese e uso di auto aziendali.

Indice:

 

Cosa sono i compensi amministratore

Compensi amministratoriL’amministratore è il soggetto incaricato ad occuparsi della gestione di una società e, di conseguenza, percepisce un compenso per il suo operato. Spetta all’assemblea dei soci deliberare il valore dell’importo da erogare che potrebbe essere composto, non solo da una retribuzione monetaria, ma assumere anche la forma di benefit. Beni, servizi e agevolazioni che si aggiungono al compenso della busta paga e che possono essere considerati come una sorta di premio per i servizi offerti. I cosiddetti “fringe benefit” vengono elargiti in misura fissa, oppure variabile, in base a diversi parametri aziendali tra cui, il più importante, è il fatturato. A tutto questo c’è da aggiungere i proventi derivanti da eventuali rimborsi spese e indennità come quella prevista alla fine del mandato.

E’ opportuno ricordare come il compenso per gli amministratori potrebbe essere quantificato e indicato anche alla stesura dello statuto, così come prevede l’art. 2364 del codice civile. Per quanto riguarda il pagamento può avvenire con cadenza mensile, trimestrale, oppure annuale. Inoltre, amministratori con particolari mansioni come, ad esempio, il presidente, oppure l’amministratore delegato, possono ricevere parte del compenso sotto forma di partecipazione agli utili o stock options. In questi casi l’esborso grava per lo più sui soci che saranno costretti a ripartire gli utili con un numero maggiore di beneficiari.

 

Misura del compenso

Il compenso viene stabilito seguendo diverse modalità a seconda delle decisioni prese dalla maggioranza dei soci e dalle specifiche esigenze aziendali. In particolare si possono applicare i seguenti metodi:

  • misura fissa: ai fini della deducibilità fa testo la data di ricevimento del pagamento;
  • misura variabile: il compenso varia in base agli utili netti che risultano dal bilancio societario. Il calcolo viene effettuato prendendo come riferimento gli utili al netto della quota imputata a riserva;
  • misura mista: il compenso è in parte determinato da una quota fissa e da una variabile collegata agli utili.

Ci sono altri casi in cui l’assemblea dei soci stabilisce che il compenso per gli amministratori venga calcolato basandosi sul volume d’affari, anche se non è un metodo tra i più vantaggiosi per la società. Infatti, in questi casi, è possibile che sia prevista l’aggiunta di:

  • rimborsi spese per lo svolgimento delle attività nel corso del mandato;
  • indennità di fine mandato (TFM);
  • compensi in natura o benefit extra (ad esempio, l’uso di una vettura aziendale, oppure di un immobile).

 

Amministratore a titolo gratuito: quando è possibile

Di solito un amministratore svolge le proprie funzioni ricevendo in cambio un compenso, mentre più raramente è possibile che le prestazioni vengano elargite a titolo gratuito.

Per beneficiare di tale gratuità è necessario che la stessa sia prevista nello statuto societario, oppure decisa dall’assemblea attraverso apposita delibera sottoscritta dall’amministratore. Quindi, se quest’ultimo decide di svolgere le proprie mansioni senza ricevere alcun compenso, è consigliabile la contemporanea presenza di specifica delibera e accettazione della stessa da parte del soggetto incaricato. In caso contrario, potrebbero nascere spiacevoli contestazioni sull’effettivo svolgimento a titolo gratuito delle prestazioni: l’amministratore, infatti ha facoltà di richiedere la remunerazione di ogni attività compiuta per conto della società e suonerebbe piuttosto strano che facesse tutto “per beneficenza“… La presunzione di pagamenti in nero, oppure in modo tale che risultino esentasse sarebbe troppo alta, così come il rischio di incorrere in contestazioni, accertamenti e sanzioni.

Per la rinuncia al compenso non è previsto il tacito assenso, ma la volontà dev’essere espressa chiaramente dal soggetto. Infatti, svolgere mansioni a titolo gratuito comporta importanti risvolti anche dal punto di vista fiscale, in quanto verrebbero a cadere gli obblighi, sia contributivi che previdenziali.

A tal proposito la Cassazione, attraverso la sentenza n. 1915/2008, ha stabilito la possibilità da parte dell’Agenzia delle Entrate di effettuare accertamenti in presenza di amministratori che dichiarano di svolgere la propria attività senza percepire alcun compenso. In pratica, a livello legislativo si presuppone che il mandato di amministratore venga sempre esercitato a titolo oneroso, quindi la gratuità rappresenta un’eccezione da sottoporre a verifica.

Come detto in precedenza, la mancanza di un’apposita clausola all’interno dello statuto o di una delibera assembleare che stabilisca lo svolgimento gratuito delle prestazioni, offrirebbe anche l’opportunità all’amministratore di rivolgersi all’ufficiale giudiziario per richiedere e ottenere l’equo compenso per l’opera prestata, in caso di dissidi con i soci.

Se tutto risultasse in regola ed effettivamente l’amministratore avesse deciso di non essere remunerato, la società potrà riportare a bilancio la gratuità delle prestazioni inserendo una nota integrativa con specifica dicitura: non sono riconosciuti i compensi agli amministratori.

 

Compenso amministratore di SRL

Abbiamo già visto come spetta all’articolo 2389 del codice civile dettare le linee guida per l’emolumento conferito ad un amministratore. Una disciplina pensata principalmente per le SPA, senza un preciso riferimento per le società a responsabilità limitata. Ciononostante la norma è considerata valida anche per le SRL, così come chiarito da diverse sentenze tra cui la n. 5384 emessa dal Tribunale di Torino il 20 novembre 2018. Il giudice non ha riscontrato alcuna valida motivazione che possa portare all’applicazione di una differente disciplina riguardante il compenso degli amministratori di una SPA o di una SRL.

E’ quindi evidente che, come nelle SPA, anche nelle società a responsabilità limitata, sia doveroso regolamentare la remunerazione dell’amministratore all’interno dello statuto o al momento della sua nomina.

 

Disciplina fiscale sul compenso amministratore

I compensi dell’amministratore sono sottoposti alla medesima disciplina dei redditi da lavoro dipendente, ovvero quella prevista dall’articolo 51 del TUIR. Di conseguenza vengono applicati:

  • il principio di cassa allargato secondo cui si devono considerare percepiti nel periodo d’imposta tutti gli emolumenti versati dal committente entro il 12 gennaio dell’anno successivo;
  • il trattamento fiscale dei compensi in natura, ovvero i cosiddetti fringe benefit che la società può concedere all’amministratore e che concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini IRPEF. Tra questi rientrano vetture aziendali ad uso personale o promiscuo e fabbricati concessi in uso al dipendente;
  • la disciplina per indennità e rimborso spese di trasferta.

Secondo i chiarimenti, a seguito delle circolari 67/2001 e 105/2001 dell’Agenzia delle Entrate, il reddito percepito è da considerarsi comunque assoggettato a lavoro autonomo qualora l’attività di amministratore rientrasse tra le mansioni istituzionali del lavoratore dipendente, oppure nell’oggetto della professione svolta dallo stesso.

 

Connessione tra compenso e lavoro autonomo

L’Amministrazione finanziaria, con i sopracitati chiarimenti, ha cercato di creare un collegamento tra l’attività di collaborazione e quella da lavoro autonomo. In particolare, tale condizione sussiste nel momento in cui, per lo svolgimento della funzione di amministratore, risultano indispensabili specifiche capacità e conoscenze tecnico-giuridiche connesse con l’attività professionale esercitata abitualmente. In tali frangenti, il compenso percepito dall’amministratore sarà disciplinato dalle stesse regole per i redditi di lavoro autonomo.

Si giunge alla medesima conclusione se il professionista ricopre la carica di amministratore in una società che si occupa di attività oggettivamente collegate alle mansioni abitualmente svolte. Immaginiamo, ad esempio, un agronomo con qualifica di amministratore in un’impresa agraria, o una società operante nel settore agricolo, un architetto che si occupa delle funzioni organizzative e dirigenziali di un’impresa edile o, più semplicemente, un commercialista amministratore che svolge mansioni tipiche della sua professione.

 

Deducibilità del compenso agli amministratori

I compensi previsti per gli amministratori risultano deducibili dal reddito societario, con la sola eccezione per le remunerazioni elargite senza specifica delibera dell’assemblea dei soci o previste nello statuto.

La legge di riferimento è l’articolo 95, comma 5 del TUIR il qualche stabilisce:

  • la deducibilità dei compensi a favore degli amministratori di società ed enti secondo il principio di cassa, ovvero durante il periodo d’imposta in cui vengono erogati;
  • la possibilità di dedurre i compensi corrisposti sotto forma di partecipazione agli utili, pur non risultando imputati al conto economico.

La suddetta normativa si applica alle seguenti società:

  • SPA;
  • SAPA;
  • S.R.L;
  • cooperative;
  • società di mutua assicurazione;
  • società europee e cooperative europee con residenza sul territorio della Stato;
  • enti pubblici e privati con o senza oggetto l’esercizio di un’attività commerciale;
  • trust e organismi di investimento collettivo del risparmio;
  • qualsiasi tipo di società, ente o trust anche senza personalità giuridica e non residenti sul territorio dello Stato.

Il compenso corrisposto dalla società all’amministratore risulta deducibile durante l’esercizio in cui il beneficiario l’ha ricevuto. Quindi, a livello puramente contabile,l’importo ha rilevanza nel bilancio per competenza, mentre dal punto di vista fiscale è deducibile quando viene elargito e resta valido il principio di cassa.

Se l’amministratore ha un rapporto di lavoro dipendente, il compenso è considerato reddito assimilato e si dovrà applicare il cosiddetto principio di cassa allargata. Ciò significa che gli emolumenti versati sono considerati validi se percepiti dal beneficiario entro il 12 gennaio dell’anno successivo rispetto al periodo d’imposta. Di conseguenza, la remunerazione risulta deducibile, per esempio, nel 2020 se verrà corrisposta all’amministratore entro il 12 gennaio 2021.

Se invece l’amministratore è un professionista si applica il principio di cassa pura. In questi casi le mansioni svolte fanno parte dell’oggetto della propria attività, ovvero richiedono specifiche competenze di natura tecnico-giuridica collegate alla professione esercitata (per esempio un ingegnere che assume la qualifica di amministratore in una società di costruzioni).

 

Le scelte a disposizione della società sul compenso agli amministratori

In parte è un argomento che abbiamo già trattato nei precedenti paragrafi, ma è bene puntualizzare con chiarezza alcuni aspetti: effettuare una scelta corretta evita spiacevoli e dannose contestazioni tra amministratore e società e, spesso con l’Amministrazione Finanziaria. Una società di capitali ha infatti diverse possibilità che deve valutare con attenzione e comportarsi di conseguenza. Nello specifico le alternative possono essere:

  • amministratore senza compenso: il soggetto incaricato alla gestione sociale non riceve alcuna remunerazione. Non è certo sufficiente una stretta di mano o la fiducia sulla parola, sarà infatti necessario mettere tutto nero su bianco tramite specifica delibera dell’assemblea dei soci. In questo modo si evita il rischio di future controversie tra amministratore e società e la concreta possibilità di dover risolvere la questione tra le quattro mura di un tribunale, dove l’amministratore potrà far valere le proprie pretese e ottenere il rimborso di tutti i compensi per le opere svolte, o destare qualche legittimo sospetto nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria particolarmente restia a credere che un amministratore lavori gratuitamente;
  • amministratore con compenso corrisposto con precisa scadenza: spetta sempre all’assemblea deliberare l’importo del compenso da erogare e le scadenze che dovranno essere rispettate, scegliendo tra remunerazione mensile, trimestrale o in un’unica soluzione annuale. Il tutto dev’essere messo a verbale prima che l’amministratore inizi le sue attività;
  • amministratore con compenso a valere per il futuro: per evitare di deliberare ogni anno un determinato compenso, l’assemblea stabilisce importo e condizioni anche per gli anni a venire fino al termine del mandato. Così facendo eroga il dovuto anche nelle successive annualità ma senza preoccuparsi del rispetto di altri adempimenti.

 

Compensi deliberati ma non pagati: come comportarsi?

In situazioni di particolare difficoltà economica o di mancanza di liquidità, una società potrebbe non essere in grado di corrispondere all’amministratore l’intero compenso pattuito.

In tali frangenti, il modo migliore per risolvere la questione è eliminare il compenso attraverso una delibera di revoca, giustificando l’azione sulla base dell’effettiva impossibilità finanziaria di sostenere l’erogazione del corrispettivo.

 

Adempimenti e contributi previdenziali

Un amministratore ha l’obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS e versamento dei relativi contributi previdenziali. La domanda può essere presentata dallo stesso amministratore, oppure direttamente dalla società, sfruttando la procedura telematica messa a disposizione sul sito dell’Istituto. Il termine ultimo da rispettare è la data di ricevimento del primo compenso. La richiesta è normalmente inviata al momento della nomina dell’amministratore e deve contenere i suoi dati anagrafici, codice fiscale e domicilio nonché i dati identificativi della società.

Non è affatto raro che un amministratore svolga un’altra attività professionale e, in tal caso, si configurano le seguenti situazioni:

  • l’attività fa parte dell’oggetto proprio della professione;
  • l’attività risulta collegata con l’attività di impresa;
  • l’attività non fa parte dell’oggetto proprio della professione.

Nei primi due casi, le remunerazioni percepite vengono assoggettate al regime contributivo previsto della Cassa previdenziale di appartenenza. Qualora la disciplina della suddetta Cassa consenta l’iscrizione facoltativa, la mancanza della stessa non fa scattare in automatico l’obbligo contributivo alla Gestione Separata INPS. L’iscrizione è invece obbligatoria qualora l’altra attività non rientrasse nell’oggetto proprio della professione.

Se il soggetto esercita la funzione di amministratore in più società attive in diverse sedi, è tenuto a presentare un’unica domanda di iscrizione presso l’ufficio INPS territorialmente competente rispetto alla propria residenza, oppure di una delle società, fermo restando l’obbligo di elencare le restanti società per cui ricopre la qualifica di amministratore.

Amministratore o società hanno l’obbligo di comunicare all’INPS l’eventuale cessazione dell’incarico, entro e non oltre i 30 giorni. In caso venga elargita un’indennità di fine mandato, il beneficiario dovrà versarne i contributi previsti.

 

Socio amministratore di SRL

Cosa accade dal punto di vista dei contributi previdenziali se un socio amministratore di una società a responsabilità limitata presta anche attività lavorativa presso la società stessa? Supponiamo che il soggetto eserciti un’attività commerciale, di conseguenza dovrà risultare iscritto a:

  • gestione Separata INPS per via del compenso ricevuto in quanto amministratore della SRL;
  • gestione Commercianti poiché svolge un’attività commerciale considerata abituale e prevalente.

L’iscrizione alla Gestione Commercianti dipende dalla natura abituale e prevalente dell’attività, aspetti che dovranno essere comprovati dall’INPS. Spetta infatti all’Istituto di previdenza verificare l’esistenza di elementi probatori a sostegno dell’abitualità delle prestazioni lavorative svolte dall’amministratore socio della SRL. In caso contrario, il soggetto sarà tenuto alla sola iscrizione alla Gestione Separata INPS.

 

Contributi previdenziali sul compenso dell’amministratore: deducibilità

La deducibilità dei contributi previdenziali non segue il principio di cassa bensì quello di competenza. Come chiarito dall’INPS, le somme elargite l’anno precedente e pagate entro il 12 gennaio dell’anno successivo, dovranno essere assoggettate alle aliquote previdenziali dell’anno precedente.

Molto più semplicemente possiamo dire che la deducibilità dei contributi INPS segue quella dei mesi, o periodi, a cui si riferiscono, quindi si applica nell’anno in cui il corrispettivo viene messo a bilancio e non in quello dell’effettivo pagamento da parte della società.

 

Il trattamento di fine mandato dell’amministratore

Il trattamento di fine mandato può essere paragonato al TFR dovuto ai lavoratori dipendenti. Tuttavia è un tipo di erogazione non disciplinata da alcuna legge specifica né tantomeno da un contratto di lavoro collettivo. Si tratta più semplicemente di un accordo sottoscritto tra le parti, ovvero un patto sociale stabilito nell’atto costitutivo, oppure attraverso un’apposita delibera assembleare in cui i soci decidono l’importo da corrispondere all’amministrazione come TFM.

A tal proposito è possibile adottare un metodo di calcolo fisso, a percentuale sul compenso annuo, oppure proporzionale in base ad alcuni dati del bilancio.

Il trattamento di fine mandato potrebbe essere previsto anche come forma di indennità compensativa e risarcitoria, qualora l’amministratore fosse costretto a rassegnare le dimissioni su esplicita richiesta dell’azionista di maggioranza.

Da un punto di vista del risparmio fiscale, sfruttare il TFM comporta innumerevoli vantaggi, sia per l’impresa che per l’amministratore: vantaggi che ho descritto nel dettaglio in questo articolo: “Il trattamento di fine mandato per gli amministratori (TFM)

 

Rimborsi spese: tassazione e deduzioni

Le spese di trasferta sostenute dall’amministratore possono essere quantificate con tre diversi metodi:

  • analitico: i costi devono essere giustificati da apposita documentazione;
  • forfettario: un’indennità fissa indipendente dalle effettive spese sostenute;
  • misto: un mix delle due modalità precedenti;

I rimborsi spese possono risultare deducibili dal reddito qualora inerenti l’attività lavorativa, fermo restando la presenza di un incarico che prevede una trasferta con indicato luogo e tempistiche per lo svolgimento.

Dal punto di vista fiscale, il trattamento dipende dal rapporto di lavoro tra società e amministratore. Se quest’ultimo è un libero professionista titolare di partita IVA, verrà applicata la disciplina prevista per il reddito da lavoro autonomo. Quindi, i rimborsi saranno soggetti ad IVA e ritenuta d’acconto. Tuttavia, c’è da fare la distinzione a seconda che le spese siano sostenute da:

  • amministratore il quale dovrà inserirle in fattura e andranno a concorrere alla formazione del reddito. Le spese sono deducibili interamente a seguito di calcolo analitico o al 75% applicando il metodo forfettario;
  • società, e di conseguenza i costi sostenuti non sono considerati compensi in natura, né tantomeno un reddito percepito dal professionista che svolge la carica di amministratore. In questo caso, la società deve solo ricevere i documenti giustificativi che certificano le spese sostenute, così da poterle portare a deduzione. A tal proposito, la legge ha fissato in 180,76 euro il limite di spesa giornaliera per vitto e alloggio fuori dal territorio comunale e in 258,23 euro il limite giornaliero per trasferte all’estero. Sono invece completamente deducibili i costi di viaggio.

Se il rapporto di lavoro che lega l’amministratore è di para-subordinazione, si applica la medesima disciplina prevista per i lavoratori dipendenti.

 

Rimborsi chilometrici e auto aziendali

È prassi comune concedere all’amministratore l’uso di un auto aziendale o rimborsare le spese nel caso impieghi, per le attività sociali, la propria vettura. A seconda del numero di spostamenti, la somma riconosciuta a titolo di rimborso può avere anche importi ingenti e in caso di accertamenti fiscali è una voce verificata con estrema attenzione da parte dell’autorità competente.

I base a quanto stabilito dall’articolo 95 del TUIR i costi a titolo di rimborso sono interamente deducibili se:

  • la vettura risulta di proprietà dell’amministratore, o è stata noleggiata per una trasferta;
  • la vettura deve avere una potenza non superiore ai 17 cavalli fiscali se il motore è a benzina e 20 cavalli fiscali se alimentata a diesel;
  • l’amministratore dev’essere autorizzato dalla società ad utilizzare la propria auto.

Il rimborso è costituito da costi fissi e costi variabili, con quest’ultimi calcolati in base al numero di chilometri percorsi applicando i coefficienti delle tabelle ACI.

Per la validità dei rimborsi non è sufficiente il pagamento con specifica causale, ma è necessario predisporre la documentazione che dimostri quale auto sia stata utilizzata, gli spostamenti effettuati con relativi chilometri effettivamente percorsi, la tariffa applicata, e l’autorizzazione della società a compiere le trasferte utilizzando l’auto privata. Più la documentazione è dettagliata e completa e minori saranno i problemi nel caso di accertamenti fiscali.

Le considerazioni fatte fino ad ora fanno riferimento ai rimborsi elargiti ad un amministratore con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con la società, quindi disciplinato fiscalmente al pari di un lavoratore dipendente. Tuttavia, la dottrina ritiene che si possa applicare la medesima norma anche in presenza di socio-amministratore che svolge le sue mansioni dirigenziali pur non essendoci un rapporto di lavoro assimilabile a quello dipendente. Ci riferiamo al socio-amministratore di una società di persone che riceve la sua remunerazione sotto forma di partecipazione agli utili. In questi casi, dimostrando che le spese sostenute per l’utilizzo dell’auto personale sono funzionali all’attività sociale, è consentito dedurle interamente.

Qualora l’amministratore svolgesse per la società un’attività professionale con rapporto di lavoro diverso dalla collaborazione coordinata e continuativa, i rimborsi chilometrici dovranno essere inseriti in fattura. In questo caso, l’importo è completamente deducibile a prescindere dai limiti previsti per i cavalli fiscali della vettura.

Se la società assegna ad un amministratore un’auto aziendale si possono verificare le seguenti situazioni:

  • impiego esclusivamente personale: è considerato un fringe benefit, quindi si applicano le disposizioni previste dall’articolo 95, comma 5, del TUIR. Costi e spese dell’auto sono deducibili per la parte corrispondente al compenso in natura, mentre l’eventuale eccedenza non è deducibile dal reddito d’impresa;
  • impiego esclusivamente aziendale: in questo caso, si applica l’articolo 164 del TUIR con deducibilità dei costi pari al 20% e limite fiscalmente riconosciuto di 18.075,99 euro;
  • impiego promiscuo: una particolare situazione in cui, ai fini delle deducibilità, non è possibile applicare la disciplina delle auto aziendali assegnate ai dipendenti e nonostante il compenso dell’amministratore risulti assimilabile al reddito da lavoro dipendente. In pratica, la società può dedurre interamente le spese dell’auto aziendale, ma entro il limite dell’importo che costituisce reddito per l’amministratore. Per la quota eccedente il fringe benefit si devono rispettare i limiti visti in precedenza per veicoli ad esclusivo uso aziendale. L’assegnazione di un’auto ad uso promiscuo dev’essere comprovata da opportuna documentazione, per esempio, aggiungendo una specifica clausola nel contratto di collaborazione dell’amministratore.

 

Come pagare meno tasse gestendo al meglio i compensi amministratore

Dopo questa carrellata molto dettagliata sui compensi amministratori, partendo dal presupposto che ora sia chiaro come funzionino, a chi sono dovuti e in che misura, è utile dare qualche buon consiglio per una loro gestione ottimale che consenta di ottimizzare al meglio anche il carico fiscale e contributivo sulle somme destinate a queste figure.

Da un punto di vista pratico abbiamo visto come sia la delibera assembleare a determinare i compensi per gli amministratori che rappresentano un’ottima soluzione, sicuramente la più adottata, per prelevare utili da una società. Grazie alla normativa che regola i compensi amministratori infatti, i soci hanno la possibilità di trasferire denaro direttamente nelle tasche dei soggetti facenti parte l’organo amministrativo della società attraverso una particolare busta paga, una soluzione molto semplice, diretta e facile da gestire, infatti nella busta paga stessa dell’amministratore vengono trattenute alla fonte:

  • le ritenute IRPEF;
  • i contributi INPS dovuti alla gestione separata.

Fin qui tutto semplice, anche se è il caso di sottolineare che una situazione di questo genere nasconde qualche criticità:

  • un costo elevato tra imposte e contributi;
  • il fatto che i contributi verranno versati ad un fondo che spesso non garantisce un trattamento pensionistico;

Per risparmiare parecchi soldi e gestire al meglio la questione dei compensi amministratori, la soluzione migliore sarebbe quella di sfruttare i rimborsi spesa analitici, ovvero la restituzione agli amministratori dei costi che hanno sostenuto in nome e per conto dell’azienda per la loro attività di rappresentanza. Se i costi vengono, qualche modo, anticipati dall’amministratore dovranno essere a lui restituiti senza alcuna imposizione.

Abbiamo visto come il rimborso analitico rappresenti un rimborso spese comprovato da documenti giustificativi specifici che certificano le spese sostenute dall’amministrazione per conto della società e parliamo di

  • vitto;
  • alloggio;
  • viaggi e trasporto per le trasferte al di fuori del territorio comunale.

Questo tipo di rimborso non si considera imponibile ai fini fiscali e previdenziali e può essere destinato all’amministratore senza alcun costo accessorio, così come le spese non documentate o forfettarie nel limite dei:

  • 15,49 € per le trasferte effettuate in Italia;
  • 25,82 € per le trasferte effettuate all’estero.

In questo caso parliamo, ad esempio, delle spese di parcheggio o lavanderia, mentre se vogliamo considerare in modo forfettario le spese di vitto e alloggio, la deducibilità per la società che li eroga è di:

  • 180,76 € al giorno per trasferte in Italia;
  • 258,23 € al giorno per trasferte effettuate all’estero.

L’utilizzo del rimborso spese pertanto, erogando denaro esente da imposizione, consente all’azienda di risparmiare parecchi euro sul compenso amministratore, soldi che sarebbero andati spesi tra IRPEF e contributi previdenziali alla gestione separata (tra l’altro, spesso persi nel computo finale della pensione).

Grazie a questo metodo l’amministratore riceve un rimborso per le spese sostenute nel corso della propria attività, soldi che troppo frequentemente vengono restituiti semplicemente sotto forma di emolumento con il suo corollario di imposte al seguito. Una corretta gestione dei rimborsi spese, con un po’ di documentazione allegata atta a giustificare questi movimenti, e se fatti in modo oculato e senza mai esagerare, può consentire un notevole risparmio di imposte per l’azienda che li eroga e per l’amministratore che li riceve.

   

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