Tassazione dei canoni di locazione non riscossi

Scritto da Omar Cecchelani in Immobili

Un argomento poco conosciuto, ma di grande rilevanza riguardante i contratti di affitto è la tassazione dei canoni non riscossi relativi a immobili ad uso abitativo posti in locazione. La legge italiana impone al proprietario di dichiarare gli importi anche se non percepiti, finché non si procede ad una intimazione di sfratto, all’ingiunzione di pagamento, oppure fino a quando la locazione non risulti cessata. Solo al verificarsi di una delle suddette condizioni e, soprattutto, prima del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, il locatore non ha più l’obbligo di dichiarare i canoni non incassati e versarne la relativa imposta.

Negli ultimi anni, a causa della crisi economica a cui si sono aggiunti gli effetti negativi provocati dalla pandemia da Covid-19, i casi di inquilini non in grado di versare il canone di affitto sono diventati sempre più numerosi. Il comportamento inadempiente del conduttore provoca al proprietario dell’immobile un doppio danno: economico in quanto ha concesso il godimento di un proprio bene senza riceverne il compenso pattuito, e fiscale poiché ha l’obbligo di versare le imposte su somme non percepite e che molto probabilmente mai incasserà.

La legge a riguardo è alquanto chiara in quanto impone il versamento delle imposte sul canone di affitto di qualsiasi immobile ad uso abitativo a prescindere se il proprietario lo abbia effettivamente percepito. Tuttavia, la normativa fiscale è stata modificata nel 2019 attraverso il Decreto Crescita e nel 2021 con il Decreto Rilancio per evitare al locatore la tassazione su canoni non riscossi, oppure ricevere un credito d’imposta di pari ammontare.

Andiamo dunque a scoprire nel dettaglio come avviene la tassazione dei redditi derivanti da canoni di locazione non percepiti, prestando anche attenzione a come poter sfruttare determinate clausole contrattuali per cercare di evitare la dichiarazione delle somme non pagate dall’inquilino moroso.

Indice:

 

Canone di locazione non riscosso: cosa prevede la legge

Come abbiamo già accennato in fase di presentazione dell’articolo, tra le varie disposizioni previste dal Decreto Crescita, entrato in vigore nel 2019, una riguarda la tassazione dei canoni di locazione non percepiti.

La normativa di riferimento è l’articolo 26 del DPR n. 917/86 del TUIR che, prima della suddetta modifica, prevedeva l’obbligo di dichiarare i canoni di affitto non riscossi e il relativo pagamento delle imposte. L’onere fiscale a carico del proprietario aveva validità fino alla conclusione della procedura di sfratto per morosità.

Attraverso il Decreto Legge n. 34/19 (convertito con modificazione della Legge n. 58/219) è avvenuto un sostanziale cambiamento al fine di garantire maggior tutela al locatore, ovvero l’unica parte lesa a seguito di inadempimento dell’affittuario. Pertanto, il proprietario dell’immobile ha facoltà di non versare le tasse sui canoni non percepiti a partire dal momento in cui è stata notificata l’intimazione di sfratto per morosità. Ciò significa che le somme non pagate dall’inquilino non contribuiranno più a formare il reddito del locatore. Inoltre, a quest’ultimo, per le imposte già versate su canoni scaduti, non riscossi e accertati dalla procedura di convalida di sfratto per morosità, verrà riconosciuto un credito d’imposta di pari importo.

 

Quando i canoni di locazione non percepiti possono essere detassati?

La mancata riscossione dell’affitto è una eventualità che, purtroppo, devono affrontare molti proprietari di immobili. In tali frangenti è necessario che il locatore presti attenzione a compilare correttamente la dichiarazione dei redditi per evitare di incorrere in accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.

La normativa di base, come già sottolineato, è l’articolo 26 del TUIR che dispone la dichiarazione ai soggetti IRPEF delle somme derivanti da contratti di affitto, sebbene non effettivamente percepite. In altre parole, il proprietario si vede costretto a versare le imposte finché il contratto è ancora in vita anche se l’inquilino risulta inadempiente.

Abbiamo visto come esista una deroga a tale regola generale che consente di evitare l’imposizione fiscale sui canoni non riscossi al verificarsi di un determinato evento, ovverosia l’intimazione di sfratto per morosità, oppure la notifica di ingiunzione di pagamento.

La detassazione dei canoni di locazione non ricevuti decorre, proprio, dal momento in cui viene accertata la mancata percezione del reddito dal procedimento giurisdizionale di intimazione di sfratto per morosità o ingiunzione di pagamento. Quindi, la modifica introdotta dal D.L n. 34/2019 ha portato all’abrogazione del comma 2, art. 3 dell’articolo 26 del TUIR, producendo effetti per contratti di affitto di immobili ad uso abitativo sottoscritti a partire dal primo gennaio 2020.

In altre parole, la nuova disposizione permette al proprietario di anticipare l’opportunità di detassare i canoni non percepiti: prima era costretto ad attendere la fine del procedimento giuridico di sfratto, ora smette di versare le imposte dal momento in cui viene notificato all’inquilino moroso l’obbligo di riconsegnare l’immobile.

In un periodo così travagliato per via della pandemia, il Governo sta introducendo con una certa frequenza nuove misure per stimolare l’economia e aiutare le categorie più colpite dall’emergenza sanitaria. A tal proposito, la conversione in legge del Decreto Sostegni (DL. n. 41/2021), tra le tante iniziative ha ulteriormente modificato il quadro relativo alla detassazione dei canoni di affitto non percepiti di immobili ad uso abitativo. Di conseguenza la situazione attuale prevede:

  • con la prima modifica del Decreto Legge n. 34/19 gli effetti della detassazione erano applicabili solo a contratti stipulati a partire dal 1° gennaio 2020, provocando una netta distinzione con quelli sottoscritti fino al 31 dicembre 2019;
  • con il Decreto Legge n. 42/201 è stata allargata la platea dei possibili fruitori di detta agevolazione, infatti si parla di canoni non riscossi per contratti di locazione di immobili a decorrere dal 1°gennaio 2020 (il contratto può risultare stipulato anche prima della suddetta data).

 

Come avviene la detassazione di un canone di locazione non percepito?

Non è prevista la dichiarazione nel reddito complessivo dei canoni di affitto non riscossi se sussistono le seguenti condizioni:

  • l’immobile dev’essere adibito ad uso esclusivamente abitativo (valido per tutte le categorie catastali del gruppo A tranne A/10, vale a dire uffici e studi privati);
  • l’inquilino deve risultare moroso, quindi non aver versato il canone da almeno 20 giorni dalla data di scadenza prevista nel contratto;
  • è stata portata a termine la procedura per notificare l’ingiunzione di pagamento o sfratto per morosità.

Solo in presenza contemporanea di questi tre requisiti il locatore ha facoltà di non inserire nella dichiarazione dei redditi (tramite modello 730 o Redditi PF) le somme non percepite derivanti dai contratti di locazione.

È importate che il procedimento per intimare lo sfratto avvenga precedentemente la data di presentazione della dichiarazione dei redditi. In questo caso, fermo restando la sussistenza delle precedenti condizioni, il locatore dovrà indicare nella dichiarazione la rendita catastale dell’immobile applicando una rivalutazione del 5%.

 

Come dichiarare i canoni di locazione non percepiti

Il proprietario deve adottare comportamenti diversi nel dichiarare i canoni di locazione non riscossi a seconda se l’intimazione di sfratto avviene prima o dopo il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi. Vediamo di analizzare le due situazioni.

  • intimazione di sfratto entro la data ultima di presentazione della dichiarazione dei redditi: considerando che il modello Redditi Persone Fisiche dev’essere consegnato entro e non oltre il 30 novembre, qualora la notifica per intimare lo sfratto avvenga entro tale data il proprietario può evitare il pagamento delle imposte sui canoni non percepiti. Tuttavia, è opportuno compilare in modo corretto la dichiarazione e, nello specifico, il quadro relativo ai redditi fondiari. In particolare, dobbiamo inserire il codice 4 nella casella 7 al fine di assoggettare la tassazione alla sola rendita catastale rivalutata dell’immobile. Nel caso in cui si fossero riscossi solo alcuni mesi d’affitto, basterà compilare la colonna 6 indicando la parte di canone effettivamente pagata dall’inquilino;
  • intimazione di sfratto dopo il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi: se la procedura di intimazione di sfratto termina oltre il 30 novembre, al proprietario dell’immobile non rimane che dichiarare i canoni non percepiti e sottoporli a tassazione. In tali frangenti le somme, sebbene non riscosse, vano a contribuire alla formazione del reddito ai fini IRPEF oppure sono soggette a cedolare secca. Resta l’unico vantaggio di poter sfruttare l’ammontare versato come credito d’imposta.

Determinare il credito non è un’operazione tra le più semplici, in quanto serve riliquidare le dichiarazioni relative a tutte le annualità in cui sono stati tassati i canoni non percepiti. Dovremo sostituire tali redditi con la rendita catastale rivalutata dell’immobile e il credito così ottenuto inserirlo nel rigo CR8 del quadro CR.

 

Come funziona il credito d’imposta

Il proprietario matura un credito d’imposta relativo a canoni di locazione non percepiti ma comunque tassati, allorché l’intimazione di sfratto o l’ingiunzione di pagamento hanno effetto dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi.

Il credito d’imposta offre un notevole beneficio al contribuente e gli permette di ottenere uno sgravio sulle imposte già versate per quei canoni non riscossi. L’aspetto importante è sapere esattamente in che modo utilizzare questo strumento.

Il credito potrà essere applicato a partire dalla prima dichiarazione dei redditi utile e ha valore fino a 10 anni dal momento in cui è stato maturato, pertanto il soggetto ha facoltà di decidere quando impiegarlo. Ricordiamo che il credito d’imposta consente al contribuente due scelte di utilizzo:

  • compensazione con altre imposte a debito;
  • rimborso.

 

Cosa succede se il locatore ottiene il credito d’imposta e successivamente riscuote l’affitto arretrato?

È una situazione molto particolare, ma potrebbe anche capitare che l’affittuario moroso abbia la possibilità di pagare i canoni arretrati una volta ricevuto l’ingiunzione di pagamento o lo sfratto per morosità, conservando in questo modo anche il diritto all’occupazione dell’immobile. Il proprietario che aveva dato ormai per scontato di aver perso le somme non versate dall’inquilino, potrebbe aver addirittura già utilizzato il credito d’imposta maturato.

In tal caso, quest’ultimo avrà l’obbligo di dichiarare i canoni ricevuti anche parzialmente. Tali compensi dovranno essere inseriti nell’apposito quadro RM della sezione V relativa ai redditi di capitale sottoposti a imposizione sostitutiva. Così facendo, l’ammontare dei canoni percepiti dal proprietario saranno soggetti a tassazione separata che prenderà come riferimento l’aliquota media IRPEF degli ultimi 5 anni.

 

Intervento della giurisprudenza sui canoni di affitto non percepiti

La sentenza della Corte di Cassazione n. 326 del 26 luglio 2000 ha stabilito come un reddito da canone di locazione deve sempre essere dichiarato, indipendentemente dalla reale percezione, a patto che il contratto d’affitto risulti attivo e, di conseguenza, si presuppone ancora dovuta la tariffa stabilita tra le parti. Inoltre, sancisce la possibilità di evitare la tassazione se:

  • il contratto risulti cessato;
  • si verifichi una causa che porta alla risoluzione contrattuale e il proprietario manifesta la volontà di avvalersene.

Si tratta di fattispecie che provocano lo scioglimento degli obblighi che legano le due parti e il conseguente diritto alla restituzione dell’immobile: questo avviene quando l’inquilino risulta moroso e al contempo nel contratto è stata inserita un’apposita clausola allo scopo di ottenere la risoluzione automatica in presenza di inadempimento. Al proprietario basterà comunicare al conduttore l’intenzione di avvalersi della clausola, ottenendo la cessazione del contratto e acquisendo il diritto di non dichiarare i canoni non percepiti senza dover attendere la decisione di un giudice.

 

Come sfruttare le specifiche clausole contrattuali

Non molti sono a conoscenza della possibilità offerta da alcune clausole contrattuali allo scopo di limitare il più possibile i problemi derivanti da canoni di locazione non percepiti. A tal proposito potrebbe risultare alquanto utile inserire nel contratto di affitto:

  • una clausola risolutiva espressa;
  • un termine essenziale con diffida ad adempiere.

Andiamo a scoprire più nel dettaglio di cosa si tratta:

  • clausola risolutiva espressa: la clausola risolutiva espressa è il mezzo più semplice che un proprietario può sfruttare per meglio tutelarsi in caso di inadempimento da parte dell’inquilino. Includendo tale disposizione, il locatore si preserva il diritto di risolvere automaticamente il contratto, senza dover ricorrere a lunghi e costosi procedimenti giudiziari. In pratica, il proprietario dell’immobile deve solo inviare all’affittuario una diffida con cui manifesta l’intenzione di applicare la clausola risolutiva. Gli effetti sono la cessazione anticipata del contratto. Il locatore può dimostrare di aver risolto il contratto producendo la specifica documentazione all’Agenzia delle Entrate, oppure esibendo la sola raccomandata con ricevuta di ritorno che certifica la comunicazione inviata all’inquilino. Inoltre, il proprietario deve dimostrare che l’abitazione non è più occupata dal conduttore. Se la procedura va a buon fine, l’obbligo di dichiarazione dei canoni di locazione cessa a partire dalla data del verbale di rilascio;
  • termine essenziale con diffida ad adempiere: il termine essenziale presenta un funzionamento del tutto simile alla clausola risolutiva espressa. Al proprietario viene riconosciuto il diritto di inviare una diffida ad adempiere in caso di morosità dell’inquilino, indicando un termine ultimo entro il quale l’affittuario deve provvedere al pagamento dell’affitto (non inferiore ai 15 giorni). Se il destinatario della comunicazione non provvede a rispettare gli obblighi sottoscritti entro il termine stabilito, il contratto viene considerato automaticamente risolto.

 

Conclusioni

Chi affitta un immobile sa bene come il rischio di morosità dell’inquilino sia sempre dietro l’angolo. Pertanto, è opportuno prendere tutte le precauzioni del caso per non trovarsi impreparati ed evitare di versare anche le imposte su redditi non percepiti (oltre al danno la cosiddetta beffa).

Dover aggiungere il pagamento delle tasse al danno economico di non aver ricevuto le somme spettanti è una situazione davvero spiacevole. Quindi, è quanto mai doveroso sfruttare ogni mezzo che la legge mette a disposizione per poter risolvere un contratto di locazione in tempi brevi evitando, se possibile, anche di rivolgersi al giudice.

Abbiamo visto come due efficaci soluzioni possono essere quelle di inserire nel contratto una clausola risolutiva espressa, oppure un termine essenziale con diffida ad adempiere, ovvero clausole che provocano la risoluzione automatica e che evitano al proprietario di dover dichiarare  al Fisco e pagare le imposte sui canoni di locazione non riscossi.

Nel caso in cui queste due clausole non fossero inserite nel contratto di affitto, sarà sempre possibile avvalersi della procedura per intimare lo sfratto o l’ingiunzione di pagamento, dovendo però mettere in conto tempi più lunghi e facendo attenzione che il processo termini entro il termine ultimo per la presentazione della dichiarazione dei redditi: altrimenti ci si troverà comunque obbligati a dichiarare ai fini IRPEF o cedolare secca anche i canoni non percepiti.

E’ più che mai opportuno quindi, in presenza di inquilini morosi, non perdere troppo tempo con la speranza che la situazione possa risolversi da sola ma agire e mettere l’inquilino inadempiente della posizione di dover pagare o, in caso contrario, sfruttare tutte le procedure che la legge offre per risolvere il contratto di affitto evitando di pagare anche imposte su importi mai percepiti.

   

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