Affitti in nero: rischi e sanzioni
Lotta senza quartiere all’evasione fiscale nel campo degli affitti, con l’Italia che arriva a un tasso di mancate dichiarazioni del 65% quando si tratta di rendite provenienti da case, stabili, terreni e uffici, in un sommerso che risulta al momento ancora difficile da censire completamente che tuttavia, vedremo, è presente anche in altri Paesi oltre al nostro.
Mentre alcune stime arrivano ad alzare l’asticella dei redditi evasi dagli italiani fino alla vertiginosa cifra di 132,2 mld di euro, sono da considerarsi tra le redditività più incontrollabili proprio quelle che fanno capo ai lavori autonomi e alle rendite immobiliari: sia la propensione all’evasione totale che il vizietto del cosiddetto “under reporting“, cioè la sottostima delle proprie rendite nelle dichiarazioni fiscali.
Chi, ad esempio, nell’Unico/730 dichiara in media entrate tra i 20 e i 26 mila euro, al Fisco ne nasconde oltre 13 mila, con 14,7 miliardi mancanti, secondo stime del MEF-Ministero Economia e Finanze sulle dichiarazioni 2016, proprio dalle rendite immobiliari.
Indice:
- Il fenomeno degli affitti in nero in Italia
- Il quadro sanzionatorio e normativo da inizio secolo a oggi
- Oltre le imposte di registro: i dichiarativi
- Gli affitti in nero tra evasione totale e “under reporting”
- La procedura di accertamento per gli affitti in nero
- La riduzione del problema degli affitti in nero grazie alla cedolare secca
- La cedolare secca “Airbnb”
- Gli affitti in nero delle case vacanza
- Le sanzioni per gli affitti in nero nelle varie regioni
- Il caso della presunzione di affitti in nero in alta Lombardia
- In estrema sintesi
- Le promesse di Airbnb e soci
Il fenomeno degli affitti in nero in Italia
Secondo il nostro Codice Civile, la forma scritta non è requisito necessario affinché ci sia un contratto con uno scambio prestazione-controprestazione (come tipicamente avviene, ad esempio, fornendo un bene o un servizio in cambio di denaro).
Tuttavia negli ultimi anni il legislatore ha tenuto a precisare (art. 1571 cc) che un contratto di locazione – cioè quello dove il proprietario, detto anche locatore, concede in uso un immobile a un affittuario, detto anche locatario o conduttore, sia un contratto a causa onerosa, a effetti obbligatori e a prestazioni corrispettive, con obbligo di forma scritta a pena di nullità e con obbligo di registrazione. Si dice così che il contratto di locazione immobiliare richiede il requisito obbligatorio della forma scritta registrata.
Siccome il termine di registrazione del contratto di locazione di un bene immobile è di 30 giorni dalla stipula del medesimo, la legge italiana ha cercato di essere estremamente rigorosa nei confronti sia del locatore che del conduttore che non si preoccupino di registrare tale contratto: essi sono considerati infatti responsabili in solido (cioè devono rispondere entrambi della violazione e pagare entrambi le eventuali sanzioni) ai fini dell’adempimento di questo obbligo, arrivando addirittura alla sanzione più grave – la nullità più che la semplice annullabilità, che agisce cioè da subito vanificando qualsiasi effetto negoziale – che l’ordinamento giuridico possa immaginare qualora si infranga la legge.
Già a partire dal 2004, infatti, la normativa italiana aveva prescritto che i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento di unità immobiliari, ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli, se ricorrendone i presupposti non sono stati registrati.
Tale nullità tuttavia, non creava minimo impedimento all’Agenzia delle Entrate di chiedere alle parti il pagamento dell’imposta di registro, chiarendo così che la nullità del contratto non possa essere considerata causa esimente della registrazione, visto che un atto nullo non dispensa le parti dall’obbligo di effettuare la corretta registrazione e che, perciò, la mancanza del requisito formale non possa essere considerato motivo sufficiente per evitare il pagamento delle imposte di legge.
E questo, anche nel caso in cui il contratto fosse stato stipulato nella forma della scrittura privata, cioè di accordo scritto e sottoscritto dalle parti, ma non fosse correttamente registrato presso l’Agenzia delle Entrate.
Il quadro sanzionatorio e normativo da inizio secolo a oggi
Per la normativa attuale, il quadro sanzionatorio per chi conceda e gestisca affitti in nero, è abbastanza pesante: l’omessa registrazione di un contratto di locazione, l’occultamento anche parziale, del pagamento pattuito e il tardivo o omesso versamento delle imposte di registro, comportano importanti sanzioni di natura amministrativa in carico ai due soggetti attori della locazione (proprietario e affittuario).
Per l’occultamento, anche parziale, del canone, la legge prevede infatti – a partire dal 1° gennaio 2017 – una sanzione che va dal 90% al 180% della differenza tra l’imposta di registro che si doveva realmente applicare e quella che si è invece pagata in base al corrispettivo dichiarato.
In caso di tardiva o omessa registrazione del contratto (i cui termini, si diceva, sono di 30 giorni dalla sottoscrizione del medesimo), il contribuente è tenuto a pagare una cifra che va dal 60% al 120% dell’imposta di registro dovuta – con un pagamento minimo di 200 €. Sanzioni raddoppiate nel caso in cui l’immobile sia ad uso abitativo.
Per il tardivo pagamento dell’imposta è dovuta una sanzione che prevede una maggiorazione del 30% rispetto all’imposta versata in ritardo.
Tale pagamento è eseguibile anche con il cd. ravvedimento operoso ovvero una forma di sanatoria volontaria che intercorre dopo aver omesso o fatto errori nei versamenti fiscali entro dodici mesi dall’inizio della locazione. Tuttavia, data la mancata registrazione del contratto che lo renderà comunque nullo, questo tipo di sanatoria avrà un puro effetto lenitivo soltanto dal punto di vista fiscale.
Diverso, invece, il caso in cui locatore e/o locatario provvedano a completare la registrazione del contratto, sempre usufruendo della modalità del ravvedimento operoso entro un anno dalla firma (o dal reale inizio della locazione): se la registrazione avviene entro 60 giorni la sanzione sarà del 6% con minimo 20€; se entro 120 giorni sanzione del 12%; se con ritardo di un anno sanzione del 15%; tra un anno e i 2 anni di ritardo: sanzione pari al 17,14%.
Se invece il ravvedimento operoso verrà fatto oltre 2 anni dai termini di registrazione, la sanzione sarà del 20%, con l’acuirsi della scure sanzionatoria qualora il contribuente venga “pizzicato” dallo Stato e subisca, di conseguenza, una contestazione della violazione al 24%.
In tutti i casi, il contribuente non in regola (padrone di casa o affittuario) sarà tenuto a versare le sanzioni previste, gli opportuni interessi di mora e, ovviamente, l’imposta di registro evasa al momento della mancata registrazione.
Oltre le imposte di registro: i dichiarativi
Oltre al mancato pagamento dell’imposta di registro, non inserire il canone di locazione percepito nell’opportuna dichiarazione dei redditi del periodo in cui sono state incassati gli affitti, comporta una grave violazione di natura fiscale: il proprietario che commetta tale violazione, in caso di immobile ad uso abitativo, verrebbe sanzionato con una cifra minima di 516 € pagando dal 240% al 480% rispetto quanto era realmente dovuto (totale assenza di indicazione in dichiarazione) oppure una sanzione dal 200% al 400% dell’imposta dovuta laddove fosse stato dichiarato meno di quanto realmente percepito.
Oltre alla normativa introdotta dalla Finanziaria 2005, nel 2011 il Decreto Legislativo 23 ha previsto gravi responsabilità per proprietari e inquilini che non provvedano a registrare i contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo stipulati: l’art. 3 del Decreto, però, venendo in soccorso, in particolare, all’inquilino in nero, stabilisce che la denuncia e registrazione volontaria del contratto di locazione, stabilirà anche un tetto massimo di affitto e una durata del contratto è fissata in quattro anni (a decorrere dalla registrazione, fosse anche d’ufficio o volontaria, da parte di uno dei due contraenti), con rinnovo automatico per ulteriori quattro anni, alla scadenza non rinnovabili. E questo fatta salva l’ipotesi che l’immobile sia destinato a uso proprio o dei propri familiari, ai sensi dell’art. 2 co.1 L. 431/1998, che contempla anche l’esecuzione di opere di recupero radicale, la cessione di immobile a terzi o la mancata occupazione da parte del locatario.
Il D.Lgs. 23/2011 prevede, infine, che il canone annuo di locazione venga fissato, a far data dalla registrazione, al triplo della rendita catastale che risulti dalle visure, con adeguamento a partire dal secondo anno tenendo in considerazione il 75% dell’aumento ISTAT; altrimenti, nel caso in cui il canone fosse inferiore, verrà considerato valido l’accordo tra le parti.
In questo modo, chi viene particolarmente stimolato a denunciare un contratto di locazione in nero è proprio l’inquilino, che riceverà in cambio un notevole premio ovvero l’aggancio del canone ai valori catastali, notevolmente più basso, di solito, rispetto ai prezzi di mercato.
Ma soprattutto una minaccia importante per il padrone di casa (cioè di chi percepisce tali redditi non dichiarandoli poi correttamente allo Stato) in quanto verrà poi considerato obbligato in solido, e si troverà del tutto solo di fronte al pesante quadro sanzionatorio previsto dal Legislatore e dall’Amministrazione Finanziaria.
In ultima istanza, proprio il locatore, ha ricevuto dall’evoluzione del quadro normativo vigente dagli anni 2010 in poi, un pesante carico di disincentivi a mantenere in essere un contratto in nero: la mancata registrazione (e quindi la nullità del contratto) fa perdere al proprietario la possibilità di chiedere lo sfratto al locatario moroso accedendo alla procedura speciale con ordinanza di sfratto esecutivo che è possibile ottenere entro un massimo due udienze dall’inizio del procedimento; tutela che si può chiedere anche in caso di mancato rilascio dell’immobile da parte del locatario alla scadenza del contratto, secondo la disciplina prevista dagli artt. 657-669 del codice di procedura civile.
Nel caso, infatti, in cui non sia stato registrato un regolare contratto di locazione, l’intervento che si può chiedere allo Stato è solamente quello del rilascio di immobile occupato abusivamente e cioè senza titolo, un iter normalmente più costoso dello sfratto. Se con il procedimento di sfratto, in genere, si riesce a portare il proprietario ad ottenere la fuoriuscita del conduttore dall’immobile grazie all’aiuto dell’ufficiale giudiziario e della forza pubblica, quando serve, entro pochi mesi dall’inizio del procedimento stesso, per il rilascio dell’immobile occupato abusivamente possono volerci parecchi anni e ingenti costi tra avvocati e udienze.
Oltre a questa importante mancata tutela, il proprietario irregolare non può chiedere allo Stato alcun aiuto per riscuotere eventuali affitti non pagati, mettendo l’inquilino moroso in una condizione di estrema forza nei confronti del locatore stesso, quando questi volesse farsi emettere ingiunzioni di pagamento rinforzate dal titolo dell’esecutività.
Nel caso in cui la nullità del contratto venisse fatta valere, l’affittuario, gravato da sanzioni per le mancate registrazioni, in quanto anch’egli obbligato in solido, potrebbe rivalersi addirittura sul locatore per il recupero dei canoni di affitto già pagati, insieme addirittura, agli interessi del caso (potendosi evincere i pagamenti del contratto nullo da eventuali ricevute rilasciate dal padrone di casa o da qualsiasi prova non meramente testimoniale di amici o familiari, che il giudice voglia accettare).
Oltre a ciò, e sempre in un quadro di totale evasione e mancata registrazione, qualsiasi violazione, peggioramento o danneggiamento che l’affittuario operasse sull’immobile in buona o malafede potrebbe essere risarcibile, anche in questo caso, solo con estrema fatica al proprietario che non possa esibire una situazione contrattuale regolare.
Gli affitti in nero tra evasione totale e “under reporting”
Le conseguenze civilistiche sopra esposte, ovvero quelle di rapporto tra le due parti (locatario e conduttore), e quelle tra le parti e lo Stato che vengono inquadrate più tipicamente dal punto di vista fiscale, valgono anche in caso di “under reporting“, cioè di parziale dichiarazione del valore del canone di locazione, rendendo estremamente sconveniente, per il proprietario, ogni situazione d’affitto non del tutto regolare e registrata.
Anche i valori possono tradire i furbetti dell’affitto sgonfiato. L’Agenzia del Territorio ha previsto infatti, che ciascun Comune venga suddiviso in cinque zone (A: centralissima, B: centrale, C: semicentrale, D: periferica, E: agricola e frazioni) e che numerose condizioni, compresa la destinazione catastale del fabbricato, che va da A1 – A2 – A3 – A4 – A5 – A6 (abitazioni signorili, civili, economiche, popolari e ultra-popolari, rurali), A7 – A8 (villini e ville), A/9 (castelli e palazzi di pregio storico e artistico) fino ad A10 (uffici e studi privati) e A11 (abitazioni e alloggi tipici dei luoghi) vadano ad influenzare il valore di mercato dell’affitto di tali immobili. Sgonfiare troppo il peso dell’affitto non è mai una scelta saggia perchè indice di evasione fiscale (nessuno, ormai regala nulla e anche la Polizia Tributaria lo sa).
Tutti questi aspetti, compresa la presenza di impianti di condizionamento o pertinenze notevoli (piscine, scuderie etc) impattano sul valore dei canoni che l’Agenzia stessa si attende di rilevare nei contratti registrati, potendo la stessa intervenire con avvisi di accertamento laddove venissero riscontrare situazioni palesemente discordanti dalla realtà (o dalla media che riscontra in situazioni analoghe, fabbricati o zone simili).
In pratica, non riuscireste a far passare per vero un canone di 100€/mese per il vostro castello con parco secolare, piscine, maneggio, campo da tennis e peschiera privata, e dovrete addirittura stare attenti che il vostro vicino di villetta a schiera non dichiari di percepire un affitto maggiore al vostro.
La procedura di accertamento per gli affitti in nero
In tempi in cui internet ha condotto tutti ad una sostanziale vita in una “bolla di vetro” all’interno della quale tutti posso guardare, chi affitta casa, soprattutto per lunghi periodi, senza dichiarare l’affitto e registrare correttamente il contratto, rischia davvero grosso.
Spesso sono proprio i padroni di casa che impongono al conduttore, tramite il ricatto della cessazione del rapporto o dell’ingiusto aumento dei canoni, di rimanere nel cono d’ombra dell’evasione fiscale.
Giova ricordare, tuttavia, che l’Agenzia delle Entrate potrà facilmente risalire e constatare queste situazioni, potendo consultare tutti i dati relativi alle bollette di acqua, luce, telefono, gas, ecc. usando il semplice codice fiscale di intestazione di tali utenze per effettuare delle verifiche.
Nuovi strumenti sono stati anche determinanti nella lotta all’evasione come ad esempio, lo spesometro, uno strumento di calcolo che segnala i contribuenti che hanno un tenore di vita non consono con i redditi dichiarati che comprende i dati di spesa telefonica, gli abbonamenti alle TV satellitari, il canone RAI e i dati dell’ASL, tutti riferiti, guarda caso, al codice fiscale del contribuente.
Nel caso in cui queste utenze e consumi portino ad un immobile e a un indirizzo il cui il conduttore risulti essere diverso dal proprietario, in mancanza di contratto registrato, l’Agenzia delle Entrate potrebbe propendere verso una presunzione di locazione non registrata.
Oltre a questo, il Fisco fa conto, spesso e volentieri, sulla denuncia spontanea dell’inquilino in nero che, in molte occasioni, prende l’iniziativa e registra il contratto per poi rivalersi verso il locatore scalando i canoni di affitto successivi e ottenendo, laddove trovasse ostilità da parte del locatore stesso, un importo del canone pari a tre volte la rendita catastale con l’accennato adeguamento del 75% dell’indice Istat, quindi solitamente inferiore a quello commerciale.
Ipotizzando, ad esempio, un appartamento di una settantina di metri quadrati in una zona centrale a Firenze, Roma o Milano con un canone che normalmente si aggira intorno agli 800-900 € al mese, l’affitto potrebbe subire una riduzione fino a a 2-3 mila euro in base annua (ottenibili moltiplicando la rendita catastale dell’unità abitativa per 3 e dividendola per le 12 mensilità).
A questo si aggiunge il fatto che, sia il legislatore che il giudice, se e quando interpellato, partono da un presupposto di debolezza del conduttore verso il proprietario e quindi tendono a far valere una presunzione di sussistenza della locazione anche per i quattro anni precedenti a quello in corso, pur ammettendo prova contraria da parte del proprietario e arrivando poi, ai fini della determinazione del reddito, ad applicare il 10% del valore dell’immobile, ovvero utilizzando un coefficiente di 12,6 volte il valore della rendita catastale.
Una vera e propria bomba a orologeria su cui il titolare di affitti in nero sta seduto, spesso senza sapere cosa rischia veramente…
La riduzione del problema degli affitti in nero grazie alla cedolare secca
Nell’ultimo biennio lo Stato ha messo a punto una sorta di lenitivo sul fronte della guerra agli affitti in nero grazie all’aumento, dal 2016 particolarmente sensibile con la crescita del 14,9% rispetto all’anno precedente, degli affitti registrati con regime della cedolare secca.
Tale regime permette di applicare un’aliquota fissa e agevolata del 10% o del 21% che ha il merito di sostituire, per il locatore, tutte le imposte dovute sia in termini di Irpef e sue addizionali, l’imposta di registro e il bollo da 16€ sulle locazioni di immobili a uso abitativo e delle loro pertinenze come box e cantine.
La Legge di Stabilità 2018 ha previsto che sugli affitti a canone libero si applichi un’aliquota del 21% (10% prorogato al biennio 2018-19 se a canoni concordati, in deroga all’aliquota del 15% inizialmente prevista a pieno regime dalla legge), inglobando in tali aliquote anche il costo di registrazione del contratto.
In questo modo il locatore ottiene il beneficio della registrazione a costi minimi e senza impattare sul proprio quadro fiscale generale, ricevendo ogni reale ed efficace tutela giurisdizionale laddove avesse problemi con il conduttore dell’immobile concesso in locazione.
La cedolare secca “Airbnb”
Tale regime, nel suo ampliamento entrato in vigore il 1° giugno 2017 con il decreto 50/2017 (“decreto Airbnb sugli affitti brevi” varato dal Governo Gentiloni con la cd. “manovrina”), è stato salutato con grande interesse da tutti i proprietari di seconde case poste in località turistiche, abituati da tempo immemore ad affittare la propria abitazione anche per periodi brevi (mesi, quindicine, settimane, giorni, week-end etc).
Le locazioni turistiche occupano una zona d’ombra notevole, sia dal punto di vista fiscale che da quello delle mancate tutele verso gli inquilini e i proprietari che si mettono in casa degli sconosciuti per guadagnare qualche euro di affitto.
Tale normativa prevede che gli intermediari immobiliari che gestiscono le locazioni di ville e case-vacanza (anche mediante piattaforme online come Airbnb, Expedia, Booking, etc) possano applicare, al momento del pagamento da parte del conduttore, una cedolare secca sugli affitti brevi del 21% sul canone di locazione dichiarato.
Questa ritenuta porta l’intermediario a diventare il sostituto d’imposta, obbligandolo a versare la cedolare del 21% e rilasciarne adeguata certificazione unica al proprietario dell’immobile, anche se la conclusione del contratto avviene tramite piattaforma web (come nel caso, appunto di Airbnb e soci, che avrebbero quindi anche la funzione di “sostituto d’imposta”).
Come per gli affitti tradizionali, l’accettazione del regime della cedolare secca del 21% sostituisce tutti gli obblighi fiscali e normativi previsti per questo tipo di affitto (che vengono normalmente evasi da chi affitta in nero…): IRPEF sulla locazione incassata, addizionali regionali e comunali, oltre a IRES ed IRAP eventuali, imposte di bollo e di registro, etc).
Tali importi si pagano con F24: il saldo dell’anno precedente dovrà essere versato entro il 30 giugno insieme ad un primo acconto per l’anno in corso pari al 95% dell’imposta totale (16 luglio con maggiorazione 0,40%) in caso di importi inferiori a 257,2 €.
In caso di importi superiori a 257,2 €, invece, sarà dovuto un primo acconto del 60% entro il 30 giugno (codice tributo 1840) e un secondo del 40% entro il 30 novembre (codice tributo 1841). Il saldo sarà dovuto il 30 giugno dell’anno successivo (o il 16 luglio con maggiorazione dello 0,4%; codice tributo 1842). Sarà necessario registrare l’opzione di cedolare secca con le procedure RLI (eseguibili via web) all’Agenzia delle Entrate (registrazione non necessaria in caso di locazione inferiore a 30 giorni; in caso di cedolare secca Airbnb si utilizzerà il codice tributo 1919, con obbligo per gli intermediari di certificare e dichiarare le ritenute operate.
Gli affitti in nero delle case vacanza
Dal punto di vista normativo, affittare una casa vacanze senza dichiarare nulla può portare il proprietario, che possieda o meno una partita IVA, a essere imputabile di esercizio abusivo di attività alberghiera, cioè di essere considerato un bed & breakfast o un affittacamere occulto.
Tale irregolarità rileva anche agli occhi di Comuni e Regioni, che possono irrogare, sanzioni di natura amministrativa nella presunzione che il contribuente svolga una sostanziale (e vietata) attività extra-alberghiera.
Se si affitta in nero una casa vacanze, anche solo per brevi periodi, si commettono diverse irregolarità: innanzitutto si omette di registrare tale attività in Camera di Commercio, di aprire doverosa partita IVA, oltre che omettere le aperture delle relative posizioni INPS e INAIL.
L’affitto in nero presuppone anche l’omesso versamento di contributi previdenziali e assistenziali obbligatori e l’omessa fatturazione, costringendo il proprietario-locatore (sia pur di breve periodo) a non poter comunicare alla Polizia, vista la posizione totalmente irregolare, arrivi e partenze dei propri ospiti (altra irregolarità).
Qualora poi si conceda in uso un frigo con un po’ di latte, frutta o due brioches in dispensa, si va incontro anche a sanzioni per la somministrazione e distribuzione di alimenti e bevande non consentiti e per l’infrazione delle norme igienico-sanitarie, arrivando a essere perseguibili addirittura per la mancata esposizione di tariffari e prezzi, per il mancato rispetto delle norme di igiene o sicurezza, etc.
I B&B regolari hanno l’obbligo di trasmettere i dati dei propri ospiti alla Questura di appartenenza tramite moduli telematici o fax/email, quelli non registrati ovviamente non lo fanno.
Le Regioni hanno la potestà di contestare, tramite avviso bonario, reati tributari come Irpef, Ires e Irap non pagati e sanzionarli con preliminare ammenda del 10% del tributo omesso, oltre agli interessi calcolati al tasso legale a partire dal giorno di presunta scadenza del pagamento del tributo.
In aggiunta a queste sanzioni, l’Agenzia delle Entrate può inviare una cartella del 30% dell’affitto della casa vacanza non dichiarato, oltre alla contestazione del mancato versamento dell’IVA.
Anche il conduttore di breve periodo di una casa vacanze che si trovi, senza averne titolo formale, al di là della semplice parola del proprietario e della disponibilità di un mazzo di chiavi ricevute chissà come, nella situazione di occupare un appartamento altrui, rischia di incorrere in potenziali sanzioni e problemi, potendosi configurare la situazione di occupazione abusiva di immobile e addirittura il reato di violazione di domicilio (oltre che il rendersi parte attiva, insieme al proprietario, del mancato rispetto della normativa di pubblica sicurezza e la comunicazione alle Questure degli alloggi fuori dai propri domicili/residenze).
Le sanzioni per gli affitti in nero nelle varie regioni
Variegato il quadro sanzionatorio delle varie Regioni italiane per combattere abusivismo ed evasione da parte di chi concede case vacanze in nero.
Oltre, infatti, alle sanzioni primarie (evasione, elusione, etc.), chi affitta in modo irregolare un immobile va incontro anche a numerose sanzioni per comportamenti e omissioni che le regioni tendono a scoraggiarlo attraverso multe salate.
L’Abruzzo applica, ad esempio, una sanzione che va da 150 € a 1.000 € per soggiorni superiori a 30 giorni, anche non continuativi della stessa persona, con sanzioni simili se non si affiggono tariffari in ogni stanza o si applicano prezzi diversi da quelli comunicati alla Direzione Generale dell’Aquila.
In Basilicata l’esercizio abusivo viene sanzionato con multe da 500 € fino a 2.500 €, con cessazione immediata dell’attività. In caso di overbooking rispetto ai letti o alle caratteristiche strutturali dell’immobile, le multe vanno dai 75 € a persona a 500 € (da 25 a 250 € se si omettono i tariffari e da 125 € a 750 € per infedeli promesse di prezzo).
In Campania si va da 1.549,37 € a 4.131,65 € per esercizio abusivo di attività alberghiera (sanzioni da 154,93 € a 464,81 € per mancato tariffario e da 258,22 € a 1.032,91 € per ospiti di troppo).
La Liguria punisce B&B e affittacamere abusivi con una sanzione da 1.000 € a 6.000 € (da 300 € a 500 € per ospiti in più), mentre la Lombardia ha un quadro che va da 1.033 € a 5.165 € (mancato tariffario) e da 129 € a 387 € (sovrannumero ospiti).
Nelle Marche, esercitare abusivamente attività extra-alberghiera costa da 103,29 € a 309,87 €, mentre in Molise si paga da 258,23 € fino a 1.032,29 €.
Piemonte e Puglia costano al locatore irregolare rispettivamente da 77 € a 516 € e da 500 € a 1.000 € (mancato tariffario) oppure da 103 € a 516 € e da 5mila a 10mila euro per esercizio abusivo dell’attività.
E se in Sicilia si può incorrere nella revoca delle licenze, Sardegna e Umbria prevedono ammende da 5.000 a 10.000 e da 3.000 a 10.000 euro per gli affitti in nero (con multe da 500 €, 1.000 € e 4.000 € per overbooking e mancato tariffario esposto).
Ultime, Veneto e Toscana con sanzioni da 1.000 – 2.000 – 3.000 € per esercizio abusivo dell’attività e da 200 € fino a 6.000 € per soprannumero e mancato rispetto delle politiche sui prezzi.
In tutti i casi indicati, il proprietario di case vacanze in nero può versare i tributi non pagati effettuando un ravvedimento operoso prima che arrivino ispezioni e accertamenti fiscali, pagando – a grandi linee – oneri compresi tra lo 0,2% e il 6% per tipo di violazione che si intende sanare e per il dies a quo che intercorre da quando si doveva pagare il tributo e l’effettivo pagamento.
Il caso della presunzione di affitti in nero in alta Lombardia
Poca eco ha avuto sulla stampa nazionale, ma grande risalto su quella locale, la vicenda esplosa nel 2016 nella zona dell’Alta Valle Camonica (nei comuni di Ponte di legno, Temù, Vezza d’Oglio, Incudine, etc.) dove numerosi proprietari di immobili si sono visti recapitare un avviso di accertamento di oltre 4.000 euro da parte della locale Guardia di Finanza per aver messo le proprie case-vacanza in elenchi quali quelli della Pro Loco o aver pubblicato annunci di offerte di affitti su siti come Subito.it, etc.
Tale presunzione si configurava perché i proprietari, non avevano comunicato al Comune l’avvio di un’attività per gli affitti delle case vacanza, obbligatoria a seguito dell’entrata in vigore della normativa successiva all’Expo milanese del 2015, quando numerose furono le locazioni di case private per i visitatori internazionali a discapito degli alberghi, a punto tale che Federalberghi scatenò una vera e propria protesta di fronte all’insostenibile concorrenza in nero dei privati.
Tale comunicazione divenne obbligatoria grazie ad una normativa regionale (ai tempi regolata con L.R. 27/2015, senza che la massa dei cittadini ne fosse venuta a conoscenza), che dal 2018 prevede anche il rilascio di un codice identificativo dell’offerta di affitto con nome, cognome, codice fiscale, etc. Anche, e soprattutto, per consentire all’Agenzia delle Entrate di controllare se chi affitta stanze, case o ville sia in regola.
Sarà obbligatorio esporre tale codice anche negli annunci su portali come Airbnb e Booking, replicando una normativa presente addirittura a Parigi per i proprietari di case-vacanza attuata allo scopo di far emergere il fenomeno (oscuro anche in altri Paesi) dell’home sharing in nero.
Anche se la vicenda del 2016 di Ponte di Legno è stata poi censurata dalle Commissioni tributarie locali (visto che non si può tassare la mera intenzione di affittare un immobile, quanto piuttosto la reale evasione delle imposte fiscali e di registro…), è valsa come campanello d’allarme di fronte all’atteggiamento ormai estremamente attento e quasi aggressivo da parte dell’Amministrazione Finanziaria verso il gigantesco problema degli affitti in nero anche nel “felice” universo delle case-vacanza affittate dai privati, spesso al solo fine di ripagarsi le spese annuali di modeste seconde case.
In estrema sintesi
Mantenere delle locazioni in nero su immobili, specie se di tipo abitativo, ormai non conviene più. Chi ancora avesse immesso in una propria unità immobiliare un conduttore in nero che rimanga per lungo tempo, magari con utenze acqua/luce/gas aperte a lui intestate, va incontro, prima o poi, ad essere scoperto dal Fisco e a vedersi contestate le sanzioni dell’art. 69 del TUIR (omessa registrazione, nullità), eventuali sanzioni per omessa registrazione della cessione del fabbricato (art. 12 D.L. 59/1978), oltre alla nullità del contratto e alla possibilità che il locatario chieda indietro canoni già pagati con interessi e more, ottenendo riduzioni di prezzo sensibili per i futuri 4+4 anni.
Anche in termini di cessazione dei rapporti, chi ha un inquilino in nero fa più fatica a ottenere la tutela dello Stato per arrivare allo sfratto e al definitivo escomio, vedendosi contestare, magari, presunzioni di locazioni nei quattro anni precedenti ai fini delle imposte dirette e determinazione del reddito fondiario pari a 12,6 volte del valore catastale dell’immobile.
Anche chi concede affitti brevi in località turistiche va incontro ad un quadro sanzionatorio tutt’altro che roseo: in questo caso, oltre che a tutte le mancanze riscontrabili da parte dell’Amministrazione Finanziaria centrale, le Regioni hanno un quadro normativo e sanzionatorio molto particolareggiato che porta a:
- presunzioni di esercizio abusivo dell’attività alberghiera;
- overbooking;
- mancato rispetto di norme igienico-sanitarie;
- mancata esposizione dei tariffari;
- mancato rispetto delle leggi sulla pubblica sicurezza;
- soggiorno, pernottamento e spostamento non registrato delle persone sul territorio nazionale;
Situazioni che sarebbero assolutamente da evitare… Oltre al quadro descritto, aggiungiamo che chi affitta in nero incorre nel, non trascurabile, rischio avere tutte le possibili noie e problematiche inerenti la responsabilità civile sull’incolumità delle persone presenti presso il proprio immobile.
I conduttori possono sempre dimostrare, spesso coi favori di una normativa totalmente pro-inquilino (inteso come “parte debole”), di occupare l’immobile con il pieno consenso del proprietario-locatore, esponendolo così ad una maggiore responsabilità civile verso eventuali terzi danneggiati dal conduttore stesso, altrimenti considerato responsabile della conduzione e di determinate manutenzioni del fondo, cosa che in caso di affitto in nero ricade, invece, interamente sul proprietario.
Oltre a questo tipo di problemi, si aggiunga anche, ciliegina sulla torta, che la presenza pluriennale di un conduttore sine titulo in un immobile espone il proprietario al (non troppo) remoto rischio di un’eventuale usucapione, laddove ci si imbattesse un conduttore un po’ furbetto intenzionato a far leva sull’uso non registrato del bene immobile e, non potendo, il proprietario, esibire ricevute di pagamenti pluriennali per non incorrere in sanzioni amministrative e fiscali astronomiche (prescrizioni a parte), magari maggiori del valore dell’immobile stesso.
In ultima analisi, è utile aggiungere che la piaga dell’evasione relativa agli affitti in nero, in Italia, sta crescendo per quel che riguarda le locazioni brevi, anche e soprattutto, grazie al fenomeno delle case vacanza affittate senza alcun contratto né registrazione.
Mentre, per quel che riguarda gli affitti a lungo termine tra privati, il fenomeno pare essere in graduale e progressiva regressione, anche per merito degli strumenti telematici e di incrocio delle banche dati di utenze e consumi di cui dispone l’Amministrazione Finanziaria e soprattutto grazie al redditometro.
Le promesse di Airbnb e soci
Più interessante invece, anche per il suo impatto internazionale e in ottica di jure condendo, la possibilità di normalizzare e normare gli affitti, anche turistici, di breve termine e ricondurli nel quadro legislativo delle leggi in stile Airbnb o le varie cedolari secche, che hanno il merito di consentire al contribuente di essere in regola con Fisco, Regioni, Comuni e controparti contrattuali: qui si tratta di movimenti economici poco intercettabili e controllabili da parte dell’Amministrazione Finanziaria, che tuttavia la tecnologia (internet) e le novità normative possono aiutare a “catturare” a fini fiscali, molto più che un tempo.
Proprio l’americana Airbnb, vista l’enorme aspettativa internazionale sul fenomeno, spesso sommerso anche all’estero, delle locazioni di breve periodo, è arrivata a essere uno dei pochi “unicorni“, cioè compagnie che valgono oltre un miliardo di dollari già nelle fasi di private equity, ovvero prima della quotazione sui listini di Borsa, come Uber o come era Facebook prima di diventare public company a Wall Street.
Questo prova l’enorme giro di interessi e di aspettative da parte degli Stati sovrani su un segmento incontrollato e incontrollabile perché troppo veloce, dove aziende come Airbnb, Booking ed Expedia si propongono addirittura di dare un sostanzioso aiuto per diminuire l’evasione fiscale, con il mondo intero che comincia ormai a cambiare la normativa di settore.
A New York, ad esempio, è diventato illegale per i residenti affittare le proprie case per meno di 30 giorni, a Parigi gli host si devono registrare ad Airbnb; in Germania la registrazione è obbligatoria e si ottiene solo provando l’uso di almeno metà casa per sè (e chi sgarra prende salate multe…).
In Canada si pensa di limitare gli affitti brevi vietando la locazione breve delle seconde case, riducendo così del disponibilità dei vari Airbnb e simili, con la Spagna in piena e recente bufera a Barcellona dopo l’esplosione di uno scandalo di affitti e sub-affitti illeciti via web.
In Italia, Airbnb, per dare una sterzata ad una situazione di stagna che perdura da ormai troppo tempo, in cui gli host ricevevano i pagamenti e poi non dichiaravano i redditi percepiti, si è proposto di trasformarsi in sostituto di imposta a seguito del D.L. 50/2017 (e quindi dal 24.4.2017), e quindi applicare una ritenuta (tassa), direttamente allo Stato, detratta dalle commissioni pagate host.
Proposta molto interessante ma per ora mai decollata. L’unico modo che gli host hanno per regolarizzare la propria posizione, in caso di locazioni brevi, è quella di sfruttare la cedolare secca sulle case vacanza, pagando soltanto un’imposta del 21% su quanto percepito…. In un certo senso conviene così, per evitare guai peggiori.
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