Magazzino fiscale: la contabilità delle rimanenze

Scritto da Omar Cecchelani in Imprese

Tra i molti oneri che un’azienda deve sostenere c’è anche la gestione del cosiddetto “magazzino fiscale“, ovvero la contabilità delle rimanenze comunemente detta anche scrittura contabile ausiliaria o, più semplicemente, contabilità di magazzino.

Dobbiamo subito precisare come l’obbligo di legge sia previsto solo per imprese sottoposte alla contabilità ordinaria e in presenza di determinati requisiti riguardanti i limiti, sia di ricavi che valore delle rimanenze. Quindi, una volta appurato che sia in essere l’obbligo di sostenere l’onere, l’azienda il cui periodo d’imposta corrisponde con l’anno solare, dovrà provvedere alla valutazione del proprio magazzino. A tal proposito sarà necessario contabilizzare la merce rimasta in giacenza, le materie prime necessarie per la produzione, materie sussidiarie, semilavorati, nonché i prodotti finiti o ancora in corso di lavorazione.

La finalità del magazzino fiscale è indurre l’azienda ad effettuare un preciso calcolo del valore delle rimanenze. Aspetto che assume una notevole rilevanza poiché la valutazione dei beni rimasti in giacenza, normalmente, incide in maniera significativa sul bilancio d’esercizio. Particolare ben conosciuto da molti imprenditori che modificano i dati dell’inventario allo scopo di variare artificiosamente i risultati di bilancio.

Una soluzione piuttosto semplice per ridurre il carico fiscale in presenza di un’utile particolarmente elevato, abbassando il valore del magazzino per versare meno imposte di quelle realmente dovute. Un sistema che paradossalmente funziona anche al contrario: con utile basso e necessità di presentare un bilancio migliore in banca per ottenere una linea di credito, basta aumentare il valore del magazzino per raggiungere i risultati di fine esercizio desiderati. Si tratta però di una pratica illegale chiaramente nota anche all’Agenzia delle Entrate, sempre molto attenta a controllare tale evenienza anche perché l’alterazione del valore delle rimanenze di magazzino è un’operazione molto sfruttata.

Il rovescio della medaglia è che data la facilità con la quale è possibile alterare tali valori, delle anomalie in tal senso salterebbero subito all’occhio di un attento osservatore e conoscitore dei bilanci delle imprese come può essere ad esempio il responsabile dell’ufficio fidi di un istituto bancario o, anche e solamente il direttore stesso, nonchè ad un funzionario dell’Agenzia delle Entrate chiamato ad un accertamento della bontà dei dati dichiarati da un’impresa.

Indice:

 

Magazzino fiscale: requisiti e termini di presentazione

Come abbiamo già accennato, il magazzino fiscale è un obbligo che spetta alle sole imprese che adottano la contabilità ordinaria e, al contempo, rispettano entrambe le seguenti condizioni:

  • totale ricavi derivanti da vendite e prestazioni superiori a 5.164.568,99 euro;
  • ammontare delle rimanenze oltre 1.032.913,80 euro.

È fondamentale evidenziare come l’onere del magazzino fiscale non si palesi immediatamente in presenza dei requisiti, bensì diventa effettivo solo dopo due esercizi consecutivi in cui si sono manifestate le suddette condizioni. Ad esempio, se un’impresa supera i limiti dei ricavi e dell’ammontare delle rimanenze durante il 2020 e 2021, sarà tenuta a contabilizzare il magazzino a partire dall’esercizio relativo al 2022.

Altro aspetto da non dimenticare è come l’obbligo del magazzino fiscale, una volta acquisito, non abbia una natura definitiva. Ciò significa che qualora l’impresa dovesse scendere sotto il limite di uno dei parametri per due esercizi consecutivi, potrebbe smettere di tenere la contabilità di magazzino già dal successivo esercizio. Tornando all’esempio precedente, se l’azienda non rientra in uno dei requisiti sia nel 2020 che nel 2021, può esimersi dal contabilizzare il magazzino per l’esercizio 2022.

Aggiungiamo che, a prescindere o meno dal rispetto dei requisiti, rimane l’obbligo a fine esercizio di compilare il prospetto annuale delle rimanenze. Si tratta di un documento facente parte dell’inventario in cui indicare in maniera analitica a quanto ammontano le giacenze, inserendo importi dettagliati per ogni tipologia di bene. Un onere valido anche per le imprese più piccole a contabilità semplificata, così come sancito dalla Cassazione tramite l’Ordinanza n.8907 dell’11 aprile 2018.

La disciplina sul magazzino fiscale è stabilita dal DPR 600 del 29 settembre 1973 che, oltre ai sopracitati requisiti, impone la registrazione delle scritture cronologiche entro 60 giorni dal ricevimento dei documenti, oppure dal momento in cui vengono emessi documenti interni giornalieri o a fine mese.

Le scritture ausiliarie di magazzino possono essere tenute come libri, tabulati o schede senza alcun vicolo di forma; non sono soggette a vidimazione né tantomeno al versamento della tassa di concessione governativa e applicazione della marca da bollo. Inoltre, la stampa cartacea dei registri non deve avvenire oltre l’ultimo giorno del terzo mese successivo al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi. Tuttavia, quest’ultima considerazione non ha più alcuna rilevanza a seguito delle nuove disposizioni introdotte con il Decreto Crescita del 2019. Infatti, a partire dal 1° maggio 2019, la stampa fisica delle scritture contabili ausiliarie di magazzino è richiesta solo in presenza di accertamenti dell’Agenzia delle Entrate. Di conseguenza, l’azienda non è più tenuta a rispettare alcuna scadenza, e potrà stampare i registri ausiliari di magazzino al momento su richiesta dei funzionari dell’Amministrazione Finanziaria.

Sebbene un’impresa non sia tenuta al rispetto dell’obbligo del magazzino fiscale, può sempre decidere di tenere le scritture contabili ausiliarie in modo d’avere un resoconto preciso del valore dei beni rimasti in giacenza.

 

Quali sono i soggetti obbligati e quelli esentati dall’onere del magazzino fiscale?

Al netto dei requisiti visti in precedenza, devono rispettare l’obbligo del magazzino fiscale i seguenti soggetti a prescindere dalla forma giuridica scelta:

  • società di capitali;
  • enti pubblici e privati che presentano come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’attività commerciale;
  • società di persone e società di fatto che svolgono attività commerciali;
  • società di armamento;
  • imprenditori persone fisiche;
  • enti non commerciali nel momento che svolgono attività commerciali;
  • aziende agricole e di allevamento qualora l’impresa sia organizzata nella forma di una società di capitali o di persone.

L’esonero dalla contabilità di magazzino riguarda:

  • imprenditori individuali minori;
  • lavoratori autonomi;
  • soggetti che svolgono prestazioni occasionali;
  • imprenditori del settore agricolo e dell’allevamento;
  • soggetti che offrono prestazioni alberghiere;
  • soggetti che svolgono attività di commercio al minuto e promiscuo nello stesso locale. L’obbligo della contabilità di magazzino scatta se l’attività viene esercitata in due o più negozi, tuttavia riguarda solo i movimenti di carico/scarico del magazzino che rifornisce i punti vendita.

 

La classificazione delle rimanenze

Secondo quanto stabilito dalla legge e dal nostro sistema contabile, le rimanenze di magazzino vengono suddivise in cinque categorie in base alla loro natura:

  • materie prime, materie sussidiarie e di consumo: riguarda ogni componente e risorsa essenziale per il processo produttivo. Ad esempio, può trattarsi di un particolare meccanico in caso di un’azienda operante nel settore automobilistico, oppure farina di frumento per un’azienda alimentare. Le materie sussidiarie sono invece rappresentate dai materiali utili alla formazione del prodotto finito, tuttavia vengono considerate di minor importanza rispetto alla materia prima. Il materiale di consumo è l’insieme dei beni funzionali all’attività che vengono utilizzati e poi buttati: utensili usa e getta, lime, punte del trapano, solventi, materiale di pulizia, ecc.;
  • prodotto in corso di lavorazione: si tratta di tutti quei beni e semilavorati ancora in fase di trasformazione il cui processo produttivo non è ancora giunto al termine, oppure è in attesa di essere lavorato. Ad esempio, se un’azienda produce frigoriferi, gli elettrodomestici non ancora terminati devono essere contabilizzati a magazzino;
  • prodotti finiti e merci: sono tutti i beni realizzati dall’azienda rimasti in giacenza in attesa della vendita. Rientrano in questa categoria anche le merci, ovvero beni acquistati dall’impresa e rivenduti senza subire alcuna lavorazione o trasformazione;
  • acconti corrisposti ai fornitori per beni destinati alla vendita.

Per ottenere una corretta contabilità di magazzino, ognuna delle suddette categorie dev’essere valutata singolarmente e in modo indipendente. Una volta calcolato il valore totale per ogni tipologia si potrà sommare con gli altri importi all’interno dell’attivo dello stato patrimoniale.

 

Come valutare ogni singola rimanenza

Per valutare correttamente le diverse categorie di rimanenze bisogna agire utilizzando i seguenti parametri:

  • costo di acquisto;
  • costo di produzione.

Il costo di acquisto riguarda le giacenze quali materie prime, materie sussidiarie e di consumo nonché la merce. In questi casi, l’oggetto della valutazione fa riferimento al costo effettivo di acquisto delle rimanenze, a cui aggiungere le spese accessorie e necessarie per trasporto, sdoganamento, stoccaggio dei beni in magazzino, ecc.

Il costo di produzione, invece riguarda i semilavorati, i prodotti il cui processo produttivo non è ancora terminato, lavori in corso su ordinazione del cliente e, chiaramente, i prodotti finiti. Per queste rimanenze, l’oggetto della valutazione si riferisce al valore iniziale dei beni a cui sommare tutti i costi diretti e indiretti derivanti dalla trasformazione. Vale a dire le spese sostenute per la manodopera, i costi del lavoro e dei macchinari utilizzati, le quote di ammortamento e così via.

Una volta che si dispone del valore di ogni singola rimanenza, possiamo computare l’importo totale effettivo di una determinata categoria. Andiamo dunque ad analizzare quali sono i criteri per valutare correttamente le rimanenze di magazzino.

 

Valutazione delle rimanenze: i metodi ammessi dalla legge

La valutazione delle rimanenze è un’operazione che, ovviamente, dev’essere effettuata a fine anno sfruttando determinati criteri ai sensi dell’articolo 2426 del Codice Civile. Un aspetto molto importante da non scordare è come il metodo utilizzato debba essere mantenuto anche per i futuri esercizi, pertanto va scelto in modo che risulti allineato con le modalità di approvvigionamento e gestione delle scorte.

I criteri di valutazione contabile delle rimanenze sono 4 e precisamente:

  • costo specifico per beni infungibili;
  • FIFO per beni fungibili;
  • LIFO per beni fungibili;
  • costo medio ponderato per beni fungibili.

In un mercato ideale in cui i prezzi non subiscono variazioni nel tempo, tutti i criteri restituirebbero risultati pressoché identici. Tuttavia, considerando che, in realtà, i prezzi sono soggetti a continue oscillazioni, ogni metodo restituisce un differente risultato contabile.

Sebbene i quattro criteri siano legittimi e ogni azienda possa scegliere liberamente quello che ritiene più adatto alle proprie esigenze (fermo restando la distinzione tra beni infungibili e fungibili), è essenziale rispettare il principio di continuità, ovvero non cambiare il metodo adottato tra un esercizio e l’altro. In questo modo si può ottenere una valutazione delle rimanenze di magazzino molto più attendibile e realistica.

 

Costo specifico

Il criterio del costo specifico è il solo previsto dalla normativa in presenza di un magazzino composto, esclusivamente, da beni infungibili. Ricordiamo che tali beni sono così definiti proprio per indicare la loro natura insostituibile, vale a dire che presentano caratteristiche fisiche uniche che li rendono diversi da qualsiasi altro bene, seppure con similitudini. Ad esempio, un prodotto eseguito su misura, un lavoro realizzato appositamente su specifiche richieste del cliente, oppure un’opera d’arte, sono da considerarsi beni infungibili. Allo stesso modo, una casa o un terreno, rientrano fra questa tipologia nonostante presentino una funzione economica del tutto simile, ma con valore unico e differente.

Il calcolo del valore contabile per le rimanenze appartenenti a questa categoria necessita della singola valutazione di ogni giacenza, seguendo logiche che si rifanno al costo di acquisto e a quello di produzione a seconda delle diverse situazioni.

 

FIFO

Prima di analizzare i criteri di valutazione delle rimanenze FIFO e LIFO è doverosa una premessa. In base a quanto stabilito dai suddetti metodi, il valore dei beni in magazzino deve risultare lo stesso in entrata e uscita. Ciò significa che qualora fosse stata stoccata una giacenza che incrementa il valore del magazzino di 200, al momento dell’eventuale vendita dovrà abbassare il magazzino del medesimo importo.

FIFO rappresenta l’acronimo di first in / first out, ovvero prime ad entrare e prime ad uscire. Già dalla traduzione si può intuire su quale presupposto poggi il metodo: le rimanenze a magazzino prime ad uscire a seguito di vendita o per l’impiego in produzione devono sempre riguardare i beni di più vecchia giacenza. Quindi si segue un semplice principio di obsolescenza: la merce o il bene acquistato dall’azienda da maggior tempo e stoccato in magazzino dev’essere stornato con precedenza. Per raggiungere l’obiettivo basta seguire l’ordine cronologico di acquisto o produzione dei beni.

Il vantaggio a livello fiscale del metodo FIFO è rappresentato dalla facile valutazione delle effettive rimanenze a magazzino. Questo perché l’azienda vende i beni stoccati in base all’ordine con cui sono stati acquistati o prodotti, dando precedenza all’inventario più vecchio. Così facendo a fine esercizio il valore delle giacenze risulta pari all’ultimo lotto acquistato o almeno dovrebbe esserlo, visto il presupposto che i lotti procedenti siano già usciti dal magazzino. Il criterio FIFO permette un’indicazione precisa del valore del magazzino messo a bilancio e, al contempo, aumenta il reddito netto poiché, a parità di acquisti e giacenze iniziali, il costo della merce venduta risulterà inferiore.

Altro punto di forza del sistema di valutazione FIFO è la possibilità di allineare la gestione fisica dello stoccaggio e dei flussi effettivi di merci con la gestione contabile.

 

LIFO

Il metodo LIFO rappresenta l’esatto contrario del criterio di valutazione FIFO. In questo caso l’acronimo indica last in / first out, ossia ultime a entrare / prime a uscire. Di conseguenza, il magazzino viene gestito dando precedenza alla merce acquistata o prodotta più recentemente per essere venduta, oppure utilizzata nei processi di produzione. Solitamente è un sistema scelto da aziende che presentano scorte di magazzino piuttosto grandi. Tuttavia, il metodo LIFO non assicura la medesima precisione di valutazione delle rimanenze del criterio FIFO, e non è altrettanto affidabile poiché le giacenze sono molto più soggette al rischio di obsolescenza.

 

Costo medio ponderato

Il metodo di valutazione del costo medio ponderato (spesso abbreviato con l’acronimo C.M.P) è il più diffuso e prende in considerazione, da una parte le uscite di magazzino e dall’altra il costo di ogni bene acquistato in precedenza e ancora in giacenza. Il C.M.P si basa su un semplice calcolo, ovvero basta dividere l’importo complessivo delle rimanenze di magazzino espresso in euro per la quantità numerica delle giacenze. Possiamo tradurlo con la seguente formula matematica:

  • costo medio ponderato = importo totale rimanenze / numero rimanenze

Appare evidente come a seguito dell’incremento delle giacenze, ossia nel momento in cui avviene un nuovo carico di merce a magazzino, il costo medio ponderato subisca una variazione.

Facciamo un semplicissimo esempio chiarificatore: supponiamo che un’azienda abbia acquistato un primo lotto di merce con quantità 100 al prezzo complessivo di 2.000 euro e, successivamente, una seconda ordinazione di altri 50 pezzi a 1.000 euro. Le unità totali sono pari a 150 mentre il costo complessivo è di 3.000 euro. Per calcolare il costo medio ponderato basterà eseguire l’operazione:

  • 2000 + 1000 / 150 = 20.

Ora immaginiamo che l’azienda venda 140 unità, quindi in magazzino rimangono sullo scaffale 10 pezzi. Il valore della giacenza di magazzino risulta pari a:

  • 10 x 20 = 200 euro.

Esistono due sistemi per effettuare il calcolo del costo medio ponderato:

  • per movimento;
    per periodo.

 

Costo medio ponderato per movimento

In questo caso, il calcolo del valore è effettuato in presenza di un nuovo movimento di magazzino. Di conseguenza, ogni qual volta viene caricata merce o stoccato un prodotto, bisogna rifare il computo del costo medio ponderato. Se invece avviene l’uscita di una giacenza, al fine di conoscere il valore in euro dello storno basta moltiplicare il numero delle rimanenze in uscita per il costo medio ponderato riferito all’ultimo movimento.

 

Costo medio ponderato per periodo

Il metodo per periodo permette di calcolare il costo medio ponderato a consuntivo. Per eseguire il computo corretto è necessario eseguire due operazioni:

  • calcolare il C.M.P del totale delle giacenze entrate in magazzino durante tutto l’anno;
  • moltiplicare il valore ottenuto per il numero delle rimanenze uscite nel corso dell’anno.

 

Correlazione tra contabilità di magazzino e utili di bilancio

Tra le voci all’interno del bilancio di fine esercizio di un’azienda, quella relativa al valore delle rimanenze è spesso la meno attendibile. Il motivo è presto detto: la facilità con la quale è possibile alterare i dati della contabilità del magazzino in base alle diverse esigenze fiscali/finanziarie fanno si che molti imprenditori, un po’ furbetti, aggiustino il periodo di imposta incrementando o riducendo all’osso il valore delle rimanenze per avere un bilancio decente (negli anni di crisi), oppure per ridurre il loro carico fiscale (negli anni buoni). L’alterazione del valore del magazzino è un pratica piuttosto diffusa in molte imprese al fine di ottenere significative variazioni dei risultati di bilancio.

Uno stratagemma che, come detto, funziona in ogni situazione: se al termine dell’esercizio gli utili risultano più alti del previsto è sufficiente abbassare il valore di magazzino per abbattere la base imponibile e versare minori imposte. Al contrario, se a fine anno gli utili sono scarsi ma abbiamo l’impellente bisogno di rinnovare le linee di credito, allora basterà alzare il valore di magazzino e presentare alla banca un bilancio, almeno in apparenza, positivo e sano.

Naturalmente, si sta parlando di una pratica tutt’altro che legale, impiegata però con una certa frequenza; cosa che, naturalmente, porta ad avere bilanci alterati che non corrispondono alla reale situazione economico-finanziaria dell’azienda. Attenzione però, perchè se può sembrare facile modificare a proprio piacimento i valori delle giacenze, un occhio esperto, non ci metterà molto ad accorgersi dell’artefatto.

Per consegnare un bilancio gonfiato in banca e pensare di farla franca, bisogna essere degli inguaribili ottimisti, oppure imprenditori piuttosto maldestri. E’ opportuno non dimenticare che l’istituto di credito, per prima cosa, verifica il bilancio presentato con quelli dei precedenti esercizi, giusto per fare un raffronto e, chiaramente, già solo questa operazione metterebbe in luce non poche anomalie. Qualora i conti non dovessero tornare, l’imprenditore sarà con tutta probabilità chiamato a dare esaurienti spiegazioni in merito.

Oltretutto, le banche dispongono di appositi software per calcolare lo scostamento del costo del venduto così da far emergere situazioni sospette. Quindi, anche in presenza di un operatore non particolarmente brillante o attento, ben difficilmente un bilancio con valori maggiorati passerà inosservato.

Al contrario, nel caso in cui l’imprenditore dovesse ridurre il valore delle rimanenze per pagare meno tasse, i problemi non li avrà con la banca ma bensì col Fisco. L’Agenzia delle Entrate dispone di tutte le informazioni tributarie e dei mezzi tecnologici per incrociare i dati comunicati e far emergere possibili anomalie o incongruenze rispetto a quanto dichiarato.

 

L’importanza del costo del venduto

Il costo del venduto raggruppa quell’insieme di spese che l’azienda sostiene direttamente per allocare sul mercato un bene prodotto, o un servizio erogato. Quindi, in questa voce, sono compresi i costi per la manodopera, l’acquisto di materie prime necessarie alla produzione e anche le spese di trasporto.

Alla fine dell’anno facendo la sottrazione tra il ricavo delle vendite e il costo del venduto otteniamo il margine operativo lordo e, di conseguenza, il reddito operativo lordo dopo aver provveduto a sottrarre le spese di amministrazione e i costi fissi. Fatta questa precisazione, risulta piuttosto evidente che alterando il magazzino fiscale, anche il costo sul venduto subisca delle variazioni, così come i dati di bilancio.

 

Perché non è mai una buona idea alternare il magazzino fiscale

Partiamo subito premettendo che alterare il magazzino fiscale, non adempiere all’obbligo di tenere la contabilità delle rimanenze, o rifiutarsi di esibire o stampare il registro su richiesta delle autorità di controllo, sono comportamenti illeciti. In secondo luogo, l’Agenzia delle Entrate presta notevole attenzione ai dati relativi la contabilità del magazzino, proprio perché consapevole della semplicità con cui tali informazioni possano essere modificate.

Quindi non è affatto una buona idea ricorrere all’aumento o diminuzione del valore delle giacenze per ottenere bilanci più o meno gonfiati. Non è nemmeno consigliabile gestire il magazzino fiscale in modo approssimativo, poiché le anomalie vengono scovate con estrema facilità e danno seguito ad accertamenti fiscali.

La normativa in materia prevede regole ben precise e, come abbiamo visto, offre diversi metodi per la valutazione delle rimanenze. Da una parte è necessario sostenere l’onere di tenuta delle scritture contabili ausiliarie (sempre che l’azienda rientri nei requisiti richiesti) e, dall’altra utilizzare un criterio di calcolo stabilito dalla legge. Tuttavia è possibile godere di una certa discrezionalità sulla scelta del metodo per la valutazione, scegliendo il metodo che meglio si adatti alle esigenze aziendali.

In conclusione, un buon consiglio è quello di evitare di armeggiare con i dati sulle rimanenze di magazzino, nel maldestro tentativo di far quadrare i conti. Una soluzione che un’impresa amministrata seriamente non dovrebbe mai prendere in considerazione. Nemmeno situazioni di emergenza sono una valida scusante: infatti, esistono i cosiddetti bilanci previsionali che offrono una stima attendibile sull’esercizio successivo in base agli obiettivi prefissati, così da poter intervenire per tempo e correggere eventuali deviazioni o ridurre gli effetti negativi di possibili problemi.

Solitamente alla base di un comportamento illecito di imprenditori che all’ultimo minuto decidono di arrangiare i bilanci tramite l’alterazione del magazzino fiscale, c’è quasi sempre una completa mancanza di pianificazione.

 

Magazzino fiscale: a quanto ammontano le sanzioni amministrative in caso di irregolarità?

La legge, e in particolare il D.Lgs. 471/97 articolo 9 comma 1, stabilisce le sanzioni amministrative da applicare in presenza di omessa tenuta o conservazione delle scritture ausiliarie di magazzino. Nello specifico, sono previste ammende che vanno da un minimo di 1.032,91 euro fino ad un massimo di 7.746,85 euro. La medesima sanzione viene applicata qualora l’impresa si rifiutasse di esibire i registri di magazzino oppure dichiarasse di non possederli.

La sanzione amministrativa può subire una riduzione fino a un minimo di circa 500 euro, se l’autorità ritiene l’irregolare tenuta dei registri o l’assenza dei documenti azioni di scarsa rilevanza, ovvero fatti che non costituiscano un ostacolo all’accertamento delle imposte dovute.

Al contrario, l’ammenda subisce un incremento di misura doppia se l’Agenzia delle Entrate accerta l’evasione di imposte dirette e dell’IVA durante i periodi di esercizio per un ammontare complessivo superiore a 50.000 euro.

   

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