La fine di ogni mese, per i lavoratori dipendenti, arriva puntuale il momento di ricevere la busta paga. Le sensazioni che normalmente prova un dipendente sono un mix di gioia per aver ricevuto il compenso per gli sforzi profusi e di profonda amarezza confrontando lo stipendio lordo con il netto.
Per i lavoratori di vecchia data è ormai subentrata una sorta di rassegnazione e l’imponente prelievo fiscale, subito ogni mese, lascia solo un leggero amaro in bocca.
Il discorso cambia per un neo assunto non ancora abituato all’insaziabile voracità dell’erario italiano e al complessivo tributo da elargire che rappresenta un vero pugno allo stomaco.
Ma alla fine quante tasse paga un lavoratore dipendente? Per fare un calcolo preciso è necessario saper leggere in maniera corretta la busta paga e soprattutto avere ben chiare tutte le imposte che causano l’esoso esborso tributario.
Indice:
Come si legge una busta paga?
Sembra una banalità ma in realtà non lo è affatto: per legge, una busta paga deve contenere un certo numero di informazioni, mentre altre sono ad assoluta discrezione del datore di lavoro.
Dal punto di vista strutturale, anche se la maggior parte delle buste paghe si somigliano, possono esserci delle differenza a secondo del tipo di contratto di lavoro e del settore di impiego. Alcune risultano molto chiare altre invece offrono una comprensione un po’ più nebulosa.
La cosa più evidente però, la grande differenza che passa tra la somma lorda e quella netta effettivamente percepita.
La busta paga presenta quattro sezioni principali che sono precisamente:
- la parte in alto dove sono inseriti i dati anagrafici sia del datore di lavoro che del lavoratore;
- una sezione che possiamo definire numerica, dove sono presenti tutte le cifre per indicare le somme percepite dal dipendente;
- la sezione in cui sono indicate le somme trattenute ai fini fiscali e previdenziali;
- la parte finale costituita da un calendario con le presenze del dipendente, le ore effettive di lavoro, eventuali assenze per malattia o permessi e il computo totale delle ferie maturate.
La parte che interessa la maggior parte dei contribuenti, quella in cui sono indicate le tasse che vengono versate ogni mese nelle casse dello Stato, è quella centrale: tale sezione contiene tutti i dati per comprendere come si arriva allo stipendio netto partendo dal lordo.
La cifra più alta presente in busta paga è rappresentata dal lordo mensile, dato dalla somma di diverse quote. La principale è una cifra fissa che dipende dal numero di ore effettive di lavoro moltiplicate per la tariffa oraria stabilita secondo il contratto nazionale del settore di appartenenza.
Al fisso vengono aggiunte le somme per eventuali ore di straordinario, particolari rimborsi oppure diarie per trasferte in Italia e all’estero.
La seconda parte è quella che più irrita ogni lavoratore, essendo al suo interno sono presenti le “famose” trattenute ed addizionali che riducono l’imponibile lordo, fino ad arrivare allo stipendio netto. In una busta paga si possono trovare le seguenti voci:
- Contributi INPS a carico del lavoratore;
- Trattenute IRPEF;
- Addizionali IRPEF regionali o comunali;
- Detrazione dal lavoro dipendente;
- Eventuali assegni familiari;
- Possibili detrazioni per carichi familiari;
- Bonus Renzi.
È opportuno andare ad analizzare voce per voce per comprendere a fondo in cosa consistono le imposte versate e le eventuali detrazioni.
Contributi previdenziali
I contributi previdenziali che ogni lavoratore dipendente deve versare vanno all’INPS e sono calcolati applicando un’aliquota sull’imponibile lordo. Per essere precisi la somma totale è suddivisa tra datore di lavoro e lavoratore.
Al primo tocca la parte più consistente che comprende anche i contributi assicurativi e assistenziali ed è nell’ordine del 32,7% della retribuzione (percentuale ritoccata il prossimo anno al 33%).
Per quando riguarda la quota spettante al dipendente, la legge non impone al datore di lavoro di indicare l’aliquota in busta paga, anche perché non è un valore fisso ma può variare a seconda del settore di appartenenza e della categoria del lavoratore.
C’è una specifica tabella, redatta dall’INPS, che aggiorna ogni anno le percentuali. In linea di massima l’aliquota massima applicata è del 9,49% e quella minima del 5,84%.
Per fare un esempio: nel settore industriale, quello con il più alto numero di lavoratori dipendenti, agli apprendisti viene applicata un’aliquota del 5,84%, mentre per tutte le altre categorie è al 9,19 o 9,49%.
Lo stesso discorso vale per gli altri settori lavorativi. Per impiegati e operai si può considerare, per il calcolo del contributo previdenziale, un’aliquota al 9,19%.
Ritenute fiscali IRPEF
Le retribuzioni si basano su un sistema di tassazione ordinaria che applica il così detto principio della ritenuta alla fonte. In pratica il datore di lavoro assume la carica di sostituto d’imposta versando in anticipo i contributi, al posto del lavoratore dipendente, e recuperando gli importi attraverso trattenute mensili direttamente dalla busta paga.
Per il calcolo del contribuo IRPEF si applicano gli ormai famosi cinque scaglioni che ogni contribuente italiano ben conosce e precisamente:
Reddito imponibile | Aliquota | Imposta dovuta sui redditi intermedi (per scaglioni) compresi negli scaglioni |
fino a 15.000 euro | 23% | 23% del reddito |
da 15.001 fino a 28.000 euro | 27% | 3.450,00 + 27% sulla parte oltre i 15.000,00 euro |
da 28.001 fino a 55.000 euro | 38% | 6.960,00 + 38% sulla parte oltre i 28.000,00 euro |
da 55.001 fino a 75.000 euro | 41% | 17.220,00 + 41% sulla parte oltre i 55.000,00 euro |
oltre 75.000 euro | 43% | 25.420,00 + 43% sulla parte oltre i 75.000,00 euro |
Le addizionali IRPEF regionali e comunali
Come se il tributo IRPEF non fosse già abbastanza per aumentare il carico fiscale, si aggiungono anche le addizionali regionali pari allo 0,9% su tutto il territorio nazionale. Tale percentuale può essere aumentata, a seconda dei casi, arrivando ad un valore massimo del 1,4%. Il tributo, come si evince chiaramente dal nome, è da versare alla Regione di appartenenza attraverso un pagamento rateale in busta paga con un massimo di 11 rate.
Naturalmente anche ogni Comune può volere il suo obolo che il lavoratore deve versare in base al domicilio fiscale. L’addizionale comunale IRPEF prevede un’aliquota massima applicabile dello 0,8% con pagamento deve essere effettuato in acconto pari al 30% e a saldo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.
In pratica, il lavoratore vedrà trattenuta una quota del 30% in acconto dell’addizionale comunale dell’anno in corso, nei mesi che vanno marzo a novembre, mentre periodo compreso tra gennaio e novembre avverrà il saldo dell’addizionale comunale dell’anno precedente.
Detrazioni fiscali
Le detrazioni fiscali per lavoro dipendente permettono di ridurre il carico fiscale sul reddito semplicemente attraverso lo status di lavoratore dipendente. Spettano se alla formazione del reddito complessivo partecipano: i redditi che derivano direttamente dal rapporto di lavoro dipendente associati a quelli percepiti, per esempio, da soci di cooperative, titolari di contratti di lavoro interinale, compensi per rapporti di collaborazione (contratti a progetto e co.co.co), ecc.
Per il calcolo delle detrazioni fiscali si deve tener conto di diversi fattori: il periodo lavorativo, il reddito complessivo e la tipologia del rapporto di lavoro se a tempo determinato o indeterminato. L’applicazione delle detrazioni avviene in maniera inversamente proporzionale rispetto al reddito, ovvero, maggiore sarà il reddito e minori saranno le detrazioni per lavoro dipendente.
In base al reddito lordo si applicano le seguenti formule per il calcolo delle detrazioni:
- per redditi al massimo di 8.000 euro, spetta una detrazione pari a 1.880 euro che deve essere rapportata al numero di giorni di lavoro dipendente. In ogni caso l’ammontare della detrazione spettante non può essere inferiore a 690 euro per contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato. La cifra sale a 1.380 euro per i redditi derivanti da contratti di lavoro a tempo determinato.
- per redditi compresi tra 8000,01 e 28.000 euro la detrazione è di 978 euro. Tale cifra è aumentata del prodotto tra 902 euro e l’importo calcolato dal rapporto tra il reddito complessivo e l’importo di 27.000 euro.
- per redditi compresi tra 28.000,01 e 55.000 la detrazione è di 978 euro. In questo caso la parte spettante si ottiene dal rapporto tra l’importo di 55000 euro, decurtato del reddito lordo, e l’importo di 27.000 euro.
- per redditi superiori a 55.000 euro la detrazione assimilabile è pari a zero.
A queste detrazioni per lavoro dipendente, si devono sommare quelle eventualmente derivanti dai cosiddetti “carichi di famiglia“, ovvero dai familiari fiscalmente a carico.
Bonus Renzi
Il famoso Bonus Renzi che ha fatto tanto discutere, è un’agevolazione strettamente collegata al reddito complessivo annuo dell’eventuale beneficiario. Rappresenta un credito IRPEF con una cifra che si attesta attorno agli 8o euro che il datore di lavoro riconosce in busta paga solo ai dipendenti con un reddito lordo complessivo non superiore a 26.600 euro. Il Bonus è applicabile a partire dal primo gennaio 2018 per effetto delle Legge di Bilancio.
Per essere precisi il Bonus Renzi si applica seguendo il seguente criterio:
- reddito inferiore a 8.174 euro il Bonus Renzi è pari a zero;
- reddito compreso tra 8.174 e 24.600 euro, il Bonus Renzi è di 960 euro all’anno e si riceveranno 85,3 euro se il mese è composto da 31 giorni oppure 78,90 euro se è di 30 giorni.
- reddito superiore a 26.600 euro, il Bonus Renzi è pari a zero.
Nel caso in cui il reddito lordo sia compreso tra 24.601 e 26.600 euro il calcolo del Bonus Renzi è un po’ più complicato; deve tenere conto del reddito, numero di giorni lavorativi in un mese, e della differenza tra la soglia di 26.000 euro e il lordo percepito, il tutto diviso per 2000.
Facciamo un esempio pratico: con un reddito lordo pari a 25.000 euro la differenza è di 1600 euro che diviso 2000, dà un coefficiente dello 0,83 da moltiplicare ai 960 euro per ottenere 768 euro, che rappresenta il totale annuo spettante al lavoratore.
Una situazione particolare che può accadere a chi percepisce il Bonus Renzi è che alla fine dell’anno fiscale, nel caso in cui il suo reddito lordo dovesse superare la soglia stabilita dalla legge, potrebbe essere costretto a dover restituire l’agevolazione ottenuta. Questo avviene perché soltanto alla fine dell’anno è possibile determinare con assoluta certezza il reddito complessivo.
Come si calcola lo stipendio netto
Una volta ben chiare tutte le voci sopra elencate, non rimane che munirsi di carta e penna ed eseguire dei semplici calcoli. La formula finale per ottenere lo stipendio netto si può così sintetizzare:
- Retribuzione netta = Reddito imponibile – Imposta netta (a cui va aggiunto eventualmente il Bonus Renzi).
Quindi, per prima cosa è necessario calcolare il reddito imponibile secondo la formula:
- Reddito imponibile = Stipendio lordo – Contributi INPS versati dal lavoratore.
Per il calcolo dell’imposta netta si applica la formula:
- Imposta netta = Imposta lorda – Detrazioni.
Facendo alcune semplici operazioni si ottengono con i seguenti calcoli:
- Imposta lorda = Contributi IRPEF + Addizionale regionale + Addizionale comunale;
- Detrazioni = Detrazione da lavoro dipendente + Detrazione per carichi di famiglia
Tasse in busta paga: un fardello duro da accettare
L’Italia conta una popolazione di oltre 60 milioni di abitanti con circa 23 milioni di persone occupate. Di queste, quasi 17 milioni sono lavoratori dipendenti. Un vero e proprio esercito che rappresenta il pilastro portante, non solo dell’economia del Paese, ma anche del sistema tributario.
Oltre il 60% delle imposte viene versata dai lavoratori dipendenti, il 34% dai pensionati e il restante 5% da commercianti e professionisti. Osservando una busta paga, e senza la necessità di fare grandi calcoli, ci si rende immediatamente conto di quanto pesante sia il prelievo fiscale che ogni mese incombe sullo stipendio di un lavoratore dipendente.
Esborso che nel corso degli anni non è mai diminuito e al massimo si è mantenuto costante, con un andamento ben diverso da ciò che puntualmente viene promesso dalle dichiarazioni populiste dei politici relative all’abbattimento del cosiddetto “Cuneo Fiscale“.
Tuttavia, negli ultimi due anni i dati dell’Istat indicano che la pressione fiscale in busta paga stia lentamente scendendo. La realtà ci racconta però che un operaio e un impiegato del settore metalmeccanico, vedono svanire in tasse quasi il 45% del proprio stipendio tra tasse, imposte, addizionali e chi più ne ha più ne metta! W l’Italia!
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