Cos’è la Web tax e chi deve pagarla
Nella società moderna la linea è ormai tracciata e punta dritta verso un’economia di tipo digitale in cui le attività commerciali si svolgono principalmente in rete. Negli ultimi anni la vendita di beni e servizi online ha avuto incrementi impressionanti con la nascita e lo sviluppo di realtà che, nel breve volgere di qualche stagione, si sono trasformate in veri e propri giganti dell’economia mondiale.
Tra i punti deboli della globalizzazione c’è la mancanza di uniformità dei vari sistemi fiscali, un’opportunità sfruttata da queste società per pagare meno imposte possibili mettendo in atto, in molti casi, veri e propri meccanismi di elusione.
Uno studio commissionato dal Parlamento Europeo ha stabilito che multinazionali come Apple, Google e Facebook riescono, ogni anno, a non versare al fisco europeo una somma di circa 70 miliardi di euro. La web tax nasce proprio con l’intento di regolamentare la tassazione dei colossi che operano in rete, in modo da garantire equità fiscale e concorrenza leale.
Indice:
Web tax: cos’è e quando entrerà in vigore
In Italia si è iniziato a parlare di web tax a partire dal 2013 (durante il Governo Letta) da una proposta di legge presentata dall’onorevole del PD Francesco Boccia. Una serie di regole con il preciso scopo di contrastare l’evasione fiscale che coinvolge attività di vendita online di società straniere che, pur operando nel nostro Paese, versano le tasse nella nazione dove hanno stabilito la sede legale.
Sede, ovviamente, stabilita in Paesi con sistemi tributari molto permissivi e imposizioni fiscali più basse rispetto a quelle dei paesi appartenenti alla Comunità europea. Trattandosi di business immateriali, ovvero che non necessitano di grandi strutture come capannoni o di impiegare migliaia di addetti, aggirare ed eludere il fisco nazionale diventa un’operazione piuttosto semplice.
La prima proposta, è stata inserita nella Legge di stabilità del 2014 e approvata dalla commissione Bilancio con conseguente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La norma sarebbe dovuta entrare in vigore a partire dal 1° gennaio 2014 ma è stata cancellata dall’appena eletto Governo Renzi, motivando la decisione con la futura nascita di una nuova tassa digitale.
La web tax è stata approvata per una seconda volta nel 2017 ed entrerà in vigore solo a partire dal gennaio 2019. Una nuova legge, opportunamente modificata, per prevedere una tassazione allargata con tre diversi campi d’applicazione:
- pubblicità online mirata verso gli utenti;
- fornitura di beni e servizi venduti su piattaforme digitali o sui principali marketplace;
- gestione di dati generati per mezzo di interfacce digitali.
Rispetto alla prima web tax italiana, mai entrata in vigore, questa normativa estende i confini per la sua applicazione: le stime presentate dal Governo alla Commissione Europea, parlano di introiti pari a 150 milioni di euro a partire dal 2019 fino ad arrivare a 600 milioni di euro nel 2021.
È bene ricordare che la web tax diventerà effettivamente operativa una volta stabilite le regole attuative. Gli organi preposti a tale scopo sono il ministero dell’Economia e dello Sviluppo economico, l’Agenzia per l’Italia digitale (AgiD) e l’Authority per le comunicazioni e la privacy.
Tutte le indicazioni devono essere presentate entro 4 mesi dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio.
Chi deve pagare la web tax?
Questa nuova incombenza riguarda, innanzitutto, le vendite di beni e servizi online con un’imposta pari al 3% che verrà applicata anche sulla pubblicità e trasmissioni dati. Una tassa che avrà un notevole impatto andando a colpire tutte quelle imprese operanti nel settore con ricavi superiori a 750 milioni di euro e introiti derivanti da servizi digitali di almeno 5,5 milioni di euro.
In pratica è un’imposizione fiscale nata principalmente per colpire giganti del commercio e dei servizi online come Google, Facebook, Amazon, eBay, Netflix e molti altri: realtà che operano da anni nel nostro Paese producendo grandi redditi, ma senza pagare le giuste imposte.
Si vuole dare un giro di vite a tutte le transazioni commerciali elettroniche tra imprese (quelle normalmente definite Business to Business o più semplicemente B2B) e tassare i così detti servizi dematerializzati, ovvero tutte le società che collaborano con i grandi colossi del web utilizzando piattaforme e applicazioni digitali, sfruttando magazzini virtuali e raccogliendo dati personali.
Tuttavia, la nuova tassazione produrrà effetti anche per le piccole e medie aziende italiane, che si avvalgono della rete per commercializzare sul territorio nazionale e nel mondo prodotti made in Italy.
Altri protagonisti di questa Digital Tax sono dati e pubblicità. Si tratta di quell’immenso universo di informazioni che quotidianamente vengono vendute e acquistate online grazie alle numerose campagne pubblicitarie e promozionali. Servizi che generano altissimi ricavi e che rappresentano una bella fetta di introiti delle principali società operanti in rete.
Come si calcola e quanto si paga per la web tax
Per il calcolo dell’imposta è sufficiente applicare l’aliquota del 3% sull’ammontare dei ricavi tassabili relativi ai punti sopracitati, e generati in ogni trimestre. La cifra ottenuta dovrà essere versata all’erario entro il mese successivo relativo a ciascun trimestre.
Inoltre, è necessario riportare il tutto alla presentazione della dichiarazione annuale dei servizi tassabili, entro e non oltre il termine previsto di 4 mesi dalla chiusura del periodo d’imposta.
Chi non deve pagare la web tax
Aspettando di conoscere tutte le disposizioni riguardanti la web tax, inserita nella Legge di Bilancio 2019, è opportuno ricordare le esclusioni introdotte con l’emendamento presentato dal Senatore Massimo Mucchetti ed approvato dalla commissione Bilancio del Senato nel 2017. In particolare, la web tax italiana, ad oggi, non si applica ai seguenti soggetti:
- tutti i contribuenti soggetti ad un regime forfettario e dei minimi;
- imprese agricole;
- e-commerce;
- soggetti che hanno creato una stabile organizzazione. In altre parole se, per esempio, Google ha realizzato delle strutture organizzative fisse all’interno del territorio nazionale;
- se il debitore è una persona fisica che non esercita alcuna attività imprenditoriale.
La web tax in Europa
In origine la web tax italiana aveva caratteristiche differenti rispetto a quella inserita nell’ultima Legge di Bilancio. Il Governo ha dovuto rivedere la normativa ed effettuare un cambiamento di rotta per seguire la direzione indicata dalla Commissione Europea. L’introduzione della tassazione, anche per la pubblicità in rete, per attività di intermediazione digitale e sulla vendita di dati raccolti dagli utenti, fanno seguito alla proposta di Digital Taxation presentata nel mese di marzo dalla stessa Commissione Europea.
Lo scopo è quello di raggiungere un livello di imposizione fiscale equo delle attività commerciali digitali, in modo da favorire la crescita economica dei paesi membri dell’UE e garantire una libera e leale concorrenza.
Le idee sono certamente condivisibili ma, in pratica, i vari Stati membri hanno delle grosse difficoltà nel trovare un’intesa, come dimostra il mancato accordo raggiunto dai ministri dell’economia nell’ultimo Consiglio ECOFIN.
Per ora l’Italia sta proseguendo sulla via intrapresa, inserendo la web tax nella Legge di Bilancio 2019. Rimane l’attesa per capire i dettagli dell’applicazione e le indicazioni operative che dovranno essere specificate a breve, sia dal Governo italiano, ma anche dalla Commissione Europea.
Se da una parte una digital tax porterà ingenti risorse nella casse dei vari Stati che decideranno di applicarla, dall’altro c’è il timore che possa avere delle ripercussioni negative.
Qualora infatti, non venisse registrato un buon consenso da parte degli altri Paesi, si potrebbe trasformare in una sorta di boomerang, con il rischio di rimanere isolati all’interno del panorama internazionale. Una preoccupazione che porta molti esperti a raccomandare grande attenzione nell’introduzione e applicazione di una tassa come questa.
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