Il meccanismo delle false sponsorizzazioni sportive è estremamente semplice e consente a tutti i soggetti coinvolti di trarre beneficio economico e fiscale da movimenti, sulla carta leciti, ma che nascondono un sottofondo di torbido fatto di fatture false o gonfiate, spostamento di denaro contante, frode fiscale e vere e proprie simulazioni di operazioni oggettivamente inesistenti.
Qualcuno, in tempi non sospetti, faceva spallucce e sorridendo diceva: “in fondo lo sport dilettantistico non può che reggersi su queste cose“, facendo riferimento al fatto che il calcio minore, ad esempio, rappresenti un po’ la lavatrice dell’illegalità finanziaria.
Ma il torbido, specie nel mondo del calcio, anzi dello sport in generale a livello dilettantistico, non sta solo nelle partite accomodate di fine campionato, in cui i presidenti concordano il risultato prima della gara a favore della squadra più bisognosa di punti, ma in un sistema che, oltre alle partite combinate, per chiarirci anche, quelle del “meglio due feriti che un morto“, vede passaggi di denaro, più o meno leciti, tra società sportive, dirigenti, giocatori che percepiscono i rimborsi, sponsor, aziende, commercianti e chi più ne ha più ne metta.
Il meccanismo è piuttosto semplice e viene messo in piedi sfruttando le favorevoli normative fiscali che vengono incontro alle associazioni sportive dilettantistiche in termini di tassazione dei redditi e IVA.
Ma andiamo per ordine e vediamo in cosa consiste la truffa delle false sponsorizzazioni sportive.
Indice:
La sponsorizzazione sportiva e il risparmio fiscale
Quando si pensa alla sponsorizzazione sportiva vengono in mente i classici loghi e le scritte colorate sulle maglie delle squadre di calcio di serie A: la Jeep per la Juventus, Fly Emirates per il Milan, Pirelli per l’Inter e Suzuki per il Torino.
Ma una sponsorizzazione è molto più che questo infatti, dietro ogni contratto di questo tipo, ci sono regole, movimenti di denaro, obblighi e oneri dello sponsor e della sponsorizzata, una forma di guadagno per il primo che dovrebbe incrementare le sue vendite attraverso la veicolazione del suo brand ad opera della società sportiva, e un vantaggio economico per la società sportiva sponsorizzata che incassa l’equivalente del contratto dall’azienda sponsor.
Ma i vantaggi non sono finiti qui, infatti, le particolari agevolazioni fiscali legate società sportive dilettantistiche (SSD), consentono alle stesse di pagare soltanto le imposte su tutti i redditi percepiti, ovvero, quelli che sono classificabili come reddito di impresa, applicando un coefficiente del 3% su tutti i proventi e componenti positivi che concorrono a formare il reddito complessivo, escluse le plusvalenze patrimoniali.
Hai capito bene, le SSD pagano l’IRES (24%) soltanto sul 3% della totalità dei loro ricavi, e questo scatena la libidine di tutti quelli che pensano di poter detassare buona parte dei loro utili girandoli ad una società sportiva.
Ma andiamo per ordine e restiamo nella legalità, una sponsorizzazione sportiva, per l’azienda che decide di sfruttarla, rappresenta secondo l’art. 90 comma 8 della Legge 289/2002:
“Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario”
Detto in parole povere e più sintetiche un spesa pubblicitaria e, pertanto, interamente deducibile dal reddito di impresa nell’anno di competenza, fino a 400.000 €.
Questo significa che le imprese che hanno un utile alto, possono approfittare dell’opportunità di girare parte dei propri guadagni, diventando sponsor di una società sportiva dilettantistica, abbassare la base imponibile su cui calcolare le proprie tasse e godere di quelli che possono essere i benefici di una sponsorizzazione, ovvero far girare il proprio marchio, farsi conoscere, acquisire nuovi clienti, rafforzare il brand, riducendo il proprio reddito imponibile della cifra versata alla sponsorizzata.
Un risparmio fiscale non indifferente che rende questo istituto particolarmente appetitoso per le aziende che hanno utili elevati.
Anche la sponsorizzata, la società sportiva dilettantistica, trae parecchi benefici dalla stipula di un contratto di questo tipo perché, in virtù di un regime fiscale agevolato, la legge 398/1991, oltre alla tassazione degli utili secondo il principio sopracitato, ovvero il pagamento dell’IRES sul 3% del proprio volume d’affari, gode della determinazione dell’IVA forfettaria ovvero, la liquidazione del 50% dell’IVA incassata per ricavi commerciali (pubblicità, sponsorizzazioni, ecc.) e i 2/3 dell’Iva incassata sulle fatture emesse per le cessioni dei diritti televisivi e di trasmissione radiofonica. Il resto dell’IVA resta nelle tasche della sponsorizzata!
Su una sponsorizzazione di 20.000 euro con IVA al 22%, la metà di questa imposta (4.400,00 € : 2 = 2.200,00 € ), resta nelle tasche della società sportiva che ne verserà all’erario soltanto l’altra metà.
Di contro, una società sportiva non potrà MAI, portare in detrazione l’IVA sugli acquisti che diventerà, a tutti gli effetti, un costo.
Per concludere il capitolo relativo al risparmio fiscale di una sponsorizzazione sportiva, appaiono piuttosto evidenti i vantaggi per entrambi i soggetti, una sproporzione tra le aliquote fiscali ordinarie e quelle delle società sportive che rende questo istituto un facile terreno di conquista per gli speculatori e per gli evasori fiscali. Vedremo di seguito come…
Inerenza delle spese di sponsorizzazione
Abbiamo detto che la sponsorizzazione è un contratto per il quale un’associazione sportiva di obbliga a pubblicizzare un marchio, un servizio o un qualsiasi messaggio promozionale di un’azienda, durante le manifestazioni sportive a cui partecipa, commissionato in cambio di un corrispettivo in denaro.
Da un punto di vista contrattuale quindi, le sponsorizzazioni sono dei contratti che hanno come oggetto delle prestazioni corrispettive:
- veicolazione di un marchio;
- diffusione di un messaggio pubblicitario;
- promozione di un prodotto o servizio dello sponsor;
- esposizione del brand dello sponsor su maglie, striscioni e altro materiale tecnico;
- organizzazione di eventi di promozione e presentazione dello sponsor e delle sue attività o prodotti;
Il classico esempio sono i loghi, o il nome, delle aziende stampato sulle maglie delle squadre di calcio, pallavolo, pallacanestro, ecc.; oppure gli striscioni apposti a bordo campo durante le manifestazioni sportive, dove risulta presente il nome dello sponsor, eventuali prodotti e i contatti.
Detto questo è facile capire a che tipo di spesa sia riconducibile una sponsorizzazione sportiva, perchè vista nell’ottica in cui ho appena descritto, appare evidente (fin troppo…), che debba essere annoverata tra le spese di pubblicità.
Appartenenza riconosciuta anche dal Ministero delle Finanze con la Risoluzione 17.06. 1992, n. 9/204 e quindi come tutte le altre spese di pubblicità e propaganda: “sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi”.
Anche le spese di sponsorizzazione però, devono rispettare il principio fondamentale della deducibilità di un costo, ovvero il principio di inerenza cosi come tutte le altre spese sostenute da una qualsiasi azienda secondo l’articolo 109, 5° comma del DPR 917/86:
“Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.
Cosa significa inerenza relativa alle spese di sponsorizzazione?
La risposta più semplice per rendere meglio l’idea la posso dare attraverso questo esempio: è inerente la sponsorizzazione di un brand di accessori per auto durante una gara automobilistica.
Questo principio però, renderebbe difficile trovare inerenza per quasi tutte le sponsorizzazioni sportive in atto: pensiamo ad esempio al calcio, che inerenza ci può essere tra il Torino FC e la Suzuki, oppure tra l’Udinese calcio e la Dacia?
Apparentemente nessuna, ma vale la regola per cui viene considerata inerenza anche il concetto di vantaggio in termini di acquisizione di nuova clientela, incremento dei ricavi e popolarità del marchio che questo contratto può portare allo sponsor.
In questo modo è comprensibile come possa essere inerente Fly Emirates per il Milan, Acqua Lete per il Napoli, la Pirelli per l’Inter, ecc.
Tornando ai comuni mortali, e tralasciando la Seria A che meriterebbe un discorso a parte, una sponsorizzazione sportiva è inerente quando è possibile dimostrare che tale operazione possa, o abbia portato un vantaggio allo sponsor, ovvero che il corrispettivo pagato sia stato investito per ottenere dei risultati tangibili, in termini di incremento di vendite o di immagine.
Non risulterebbe una spesa inerente, una sponsorizzazione di una pizzeria di Lodi, promossa da una squadra che milita nel campionato di eccellenza della Basilicata, o dell’Emilia Romagna perchè, obiettivamente: quante probabilità ha un investimento pubblicitario di questo tipo di portare dei vantaggi allo sponsor?
Allo stesso modo è importante e fondamentale che ci sia anche una certa congruità tra i costi sostenuti per la sponsorizzazione e il servizio reso ovvero che sia verificabile un coerente incremento del volume dei ricavi a fronte dell’operazione.
In caso di controlli infatti, la G.d.F. è portata a contestare in primo luogo l’antieconomicità della sponsorizzazione sportiva, provando a dimostrare che la cifra spesa dallo sponsor sia esagerata rispetto ai possibili vantaggi che porterebbe o ha portato questa operazione. Le contestazioni più comuni, infatti, sono:
- investimenti che non hanno portato coerenti incrementi nel volume d’affari;
- investimenti pubblicitari di valore ingente ma circoscritti ad una ristretta area o indirizzati ad un bacino di potenziali clienti di entità scarsa;
- investimenti promozionali fatti su aree diverse da quelle di competenza dello sponsor.
In questo caso, il rischio più grosso, specie quando non si è in grado di portare prove per dimostrare il contrario, o che comunque l’investimento abbia portato risultati in termini di vendite o anche solo di rafforzamento del valore del brand, potrebbe scattare il principio dell’abuso di diritto e la non esistenza dell’inerenza che ricondurrebbe quelle spese pubblicitarie interamente deducibili nell’esercizio in corso a spese di rappresentanza, con tutti gli annessi e connessi relativi alla loro deducibilità.
Come si configura la truffa delle false sponsorizzazioni sportive
Dopo aver fatto questo preambolo, spiegando in modo dettagliato il funzionamento delle sponsorizzazioni sportive, descrivendone i vantaggi fiscali per lo sponsor ed economici per la società sportiva sponsorizzata, è risultato fin troppo semplice per molti imprenditori avventurosi capire come aggirare queste normative e trarne un vantaggio indebito.
Pensiamo al caso di una sponsorizzazione di 50.000 euro, fatta da un’azienda metalmeccanica che produce pezzi per automobili lavorando per conto di terzi, alla squadra di calcio locale: verrebbe subito spontaneo chiedersi, quale possa essere il possibile vantaggio di questa operazione in termini di ritorno dell’investimento.
In effetti è difficile capirlo, ma non voglio parlare di questo e pensiamo che questa operazione possa essere messa in piedi, e pagata a così caro prezzo, per far girare e rafforzare il brand dello sponsor nella Regione geografica di appartenenza.
Quello che fa impressione, anche a fronte di un utile relativamente elevato dello sponsor, è la cifra investita per questo tipo di pubblicità: 50.000 €.
Pensate forse che restino tutti a disposizione della società sportiva?
Per carità, questo può accadere, non è giusto generalizzare nè fare di tutta l’erba un fascio, ma la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate hanno scoperchiato, nel corso di questi ultimi anni, dei veri e propri sistemi che sfruttano le associazioni sportive, proprio per evadere il Fisco o ripulire denaro.
Torniamo alla nostra sponsorizzazione di 50.000 €, sfruttando la legge fiscale che consente alle associazioni sportive di pagare le tasse sul 3% del loro volume d’affari, è molto intuitivo pensare che si possano trovare degli accordi, ovviamente non scritti, per attirare quanti più sponsor possibili, offrendo loro un facile risparmio fiscale a fronte di un esborso relativamente irrisorio.
E allora capita che, molte SSD trattengano soltanto una parte di quanto indicato nel contratto di sponsorizzazione sportiva come corrispettivo per il servizio pubblicitario reso: dal 10 al 20% del totale fatturato allo sponsor.
Questo modus operandi consente alla società sportiva di essere appetibile per tutte quelle aziende che hanno bisogno di crearsi dei costi, più o meno fittizi, per abbattere l’utile d’esercizio a fine anno.
Ma, soprattutto, consente allo sponsor di mettere a bilancio un costo, anche elevato, che andrà ad incidere sulle sue tasche, soltanto in una piccola percentuale (per comodità stabiliamo il 15% ovvero, quanto la società sportiva trattiene del valore complessivo della sponsorizzazione).
Tradotto in altri termini, sui famosi 50.000 € di cui parlavamo prima, lo sponsor ne tratterà per se soltanto 7.500 (il 15%), restituendone il resto in contanti.
Tra le altre cose è utile sottolineare che la società sportiva, sfruttando la legge 398/91, verserà all’erario soltanto il 50% dell’IVA incassata da tale operazione e quindi su 50.000 € soltanto 5.500 € anzichè 11.000.
Ricapitolando:
- Vantaggi per la società sportiva: trattiene per se, su un contratto da 50.000 €, la bellezza di 7.500 + 5.500 = 13.000 € pagando l’IRES soltanto sul 3% di quanto fatturato allo sponsor.
- Vantaggi per lo sponsor: si crea un costo a bilancio di 50.000 € vedendosene restituiti 42.500 in contanti. In pratica è come se pagasse, su quella cifra, una “tassa” del 15% che, se paragonata alle aliquote di tassazione attuali, è irrisoria.
Ma vediamo come, nel concreto si configura questo comportamento illecito tornando alla nostra sponsorizzazione di 50.000 €.
In primo luogo azienda (sponsor) e società sportiva (sponsorizzata) stabiliscono l’entità del contratto di sponsorizzazione e, una volta stilato il contratto utilizzando un modello standard in cui sono presenti, oltre al valore della sponsorizzazione stessa, obblighi e oneri di entrambi i soggetti, la sponsorizzata provvede all’emissione della fattura con IVA al 22% verso lo sponsor.
Lo sponsor, dal canto suo, provvederà al pagamento della fattura comprensiva dell’IVA con metodi, ovviamente, tracciabili: bonifico bancario o assegno.
Fin qui tutto normale, parliamo di una comunissima transazione dove, a fronte di un servizio viene pagato un corrispettivo.
Gli accordi iniziali però, erano un po’ differenti, infatti, della cifra totale, la società sportiva dovrebbe trattenerne soltanto la percentuale concordata (il 15%), e la restituzione della differenza dovrà avvenire tramite contanti, quindi senza lasciare alcuna traccia di questa transazione.
Come faccia la società sportiva a procurarsi il contante è il segreto di Pulcinella, visto i limiti sul prelevamento dei contanti che non permettono al presidente della sponsorizzata di sfruttare il proprio conto personale per la restituzione di quanto “dovuto” allo sponsor.
Esistono, per le società sportive, svariati metodi più o meno leciti per fare uscire il contante dal proprio conto corrente, ad esempio, sfruttando i rimborsi sportivi dilettantistici (ex regime dei 7.500, oggi 10.000) che consente di rimborsare fino a 10.000 euro l’anno ad ogni tesserato per i “costi” sostenuti.
Creare rimborsi a piè lista ad hoc per giustificare queste uscite verso i tesserati della società è semplicissimo e, di norma, queste operazioni vengono messe in piedi per far uscire, attraverso i tesserati, il denaro dai conti correnti delle società sportive.
A fronte di un rimborso effettivo di 1.500 euro, ad esempio, viene emessa una nota spese dal tesserato di 10.000 euro che la società versa tramite bonifico al tesserato stesso. Egli tiene i 1.500 euro di competenza e restituisce la differenza alla società sportiva a mezzo denaro contante.
In questo modo la società sportiva riesce a far uscire dal proprio conto corrente, e dalla propria contabilità, il denaro necessario per restituire quanto pattuito allo sponsor e chiudere il cerchio.
Un meccanismo che mette d’accordo tutti, sponsor, sponsorizzata, tesserati, dirigenti e chi più ne ha più ne metta, un giro di soldi che consente allo sponsor, quasi, di detassare parte dei propri utili pagando una “commissione” irrisoria alla società sportiva di turno.
Come dicevo all’inizio di questo articolo: “lo sport si regge su queste cose“, finchè la Guardia di Finanza non arriva a scombinare i piani di questi facinorosi furbetti, i “maghi del risparmio fiscale” che troppo spesso finiscono loro stessi nel pentolone.
False associazioni sportive per evadere il Fisco
Sempre nell’ambito dello sport e delle associazioni sportive, molti imprenditori, i più facinorosi, hanno scelto la via più complicata ma probabilmente più redditizia, ovvero, quella di sfruttare in prima persona le agevolazioni della legge fiscale sulle società sportive aprendone direttamente una o più di una.
Perchè questo? Molto semplicemente per risparmiare quel 15% di dazio da pagare per il “favore” ricevuto quando si mettevano in piedi i contratti di sponsorizzazione con altre SSD, ma non solo…
Costituire un’associazione sportiva è relativamente semplice e veloce, un po’ meno affiliarsi al CONI per godere dei vantaggi fiscali della legge 398/91: è previsto che venga effettivamente svolta un’attività sportiva, che vi siano dei tesserati e che si partecipi ad un campionato federale e altre regole che non serve che mi dilunghi qui a spiegare.
Pertanto l’associazione sportiva, in capo all’imprenditore facinoroso, è attiva sul territorio svolgendo attività e coinvolgendo terze persone, tesserati, sportivi, dirigenti e quadri ma il suo scopo principale non è propriamente sportivo.
Ci sono casi di associazioni sportive che fatturano anche 100mila euro l’anno, guarda caso tutti sponsorizzati dall’impresa del presidente. In questo modo è possibile ridurre al minimo l’imposizione fiscale su quanto versato alla società sportiva praticamente detassando parte degli utili della propria impresa.
Ma i più ingegnosi hanno pensato di aprire delle vere e proprie attività commerciali mascherate da associazioni sportive, ricreative e culturali senza scopo di lucro.
Un artifizio che serve a mascherare attività commerciali come pizzerie, bar, club privè, night club e palestre con ingenti volumi di affari e, a volte, anche l’impiego di manodopera in nero.
Le finalità non lucrative di tali associazioni, espresse chiaramente nello statuto, volte all’associazionismo e al conseguimento di fini sociali e sportivi in realtà miravano al conseguimento, non di soci, ma di veri e propri clienti, beneficiando però delle favorevoli condizioni fiscali riservate alle Associazioni Sportiva Dilettantistiche.
E’ ovvio che chi è stato pinzato con le mani nella marmellata, per questi motivi, abbia pagato caro e salato il conto di questo “errore”, infatti, visto le ingenti agevolazioni fiscali riservate alle società sportive senza finalità di lucro, gli importi evasi rispetto a quanto dovuto erano elevatissimi e, di conseguenza, oltre a quanto evaso, le sanzioni e gli interessi sono state salatissimi sia in termini di imposte dirette che di IVA.
Anche in questo caso, come nei precedenti, la domanda più importante da porsi è… Ne vale proprio la pena?
Massi dice
Grazie. Molto interessante